E' evidente che, più si vive la vita, e più appare lapalissiana quell'espressione «Gli esami non finiscono mai», che diede il titolo all'ultima commedia di Eduardo De Filippo, e che è entrata a far parte del nostro linguaggio corrente per segnalare come e soprattutto quanto la nostra esistenza sia costellata di ostacoli da superare. Ci pensavo mentre stanno finendo gli esami di Terza media e debuttano quelli di Maturità. Entrambi sono stati azzoppati dal "coronavirus", così come è avvenuto per tutte le scuole di ogni ordine e grado in questo anno scolastico disgraziato, che va cancellato senza "se" e senza "ma". E chi non lo fa, accampando scuse, non è in buona fede e questo non vuol dire non apprezzare chi ha cercato di dare il meglio nella didattica a distanza. Ma lasciamo quanto avvento nel mondo dei ricordi, punto e basta.
Mi spiace molto per gli esaminati e gli esaminandi che sono stati colpiti dalla folgore della pandemia, trovandosi privi di un passaggio memorabile della propria vita, e questo vale in particolare per la Maturità. Capisco quanto di retorico ci sia nel ricordare i propri anni giovanili alla prova di quell'esame, ma il fatto che sia così vivo per il resto della vita la dice lunga su che cosa abbia rappresentato. So benissimo quanto gli esiti ormai siano abbastanza scontati e per farsi bocciare, anche in condizioni normali, bisogna avere orecchie d'asino che sfiorano il soffitto, però aveva anche le sue ragioni il sociologo, Francesco Alberoni, quando scriveva: «Non capisco quei pedagogisti che vogliono togliere gli esami dalle scuole. L'esame è parte integrante dell'educazione. Non capisco quei genitori che vogliono evitare ai loro figli questo stress. Vivere vuoi dire prevedere, calcolare, padroneggiare lo stress. E soltanto quando stiamo per affrontare l'esame che noi ci rendiamo conto di quanto avremmo potuto e dovuto fare. Prima tendiamo a cullarci nelle illusioni». Questo a me è valso molte volte in diversi passaggi. Mettersi in gioco, affrontare la sfida, metterci la faccia: questo mi è capitato tante volte e ne sono sempre uscito rafforzato, nel bene come nel male. Oggi non si usa più il termine "ignavia", dismesso nel suo uso comune, ma trovo significativo che chi ne soffre - l'ignavia è un misto originale che mette assieme "pigrizia", "indolenza spirituale" e "viltà" - sia stato messo in una pessima posizione da Dante Alighieri nella sua "Divina Commedia". Per essere precisi gli ignavi trovano ampio spazio nel canto III dell'Inferno ed il Poeta si riferisce esplicitamente alle persone che nella vita non hanno mai agito né per il bene né per il male, non hanno mai avuto né espresso idee proprie e si sono sempre adeguati alla massa, all'idea del più forte. Dante li piazza nell'Antinferno perché indegni di qualunque cosa, sia delle gioie del Paradiso che delle pene dell'Inferno: non essendosi mai schierati nella loro vita, infatti, non possono appartenere a uno schieramento una volta morti, e questa è una punizione in più. Così il Poeta li immagina nudi per l'eternità, mentre inseguono un'insegna che si muove rapidissima e gira su se stessa mentre gli ignavi vengono punti da mosconi e vespe. Il loro sangue mischiato alle lacrime viene succhiato via da fastidiosi vermi. Dante classifica questo tipo di peccatori come coloro «che mai non fur vivi», disprezzandoli grandemente. Gli esami possono invece corroborare chi si sente attivo, operoso e laborioso e dunque si tratta di mettere energia nella propria vita e imparare a farcela e, nel caso non ci si riesca, a non demordere. Molto spesso nella mia vita ho incontrato persone che si nascondevano dietro ad un dito, che mandavano avanti gli altri, che non si assumevano le proprie responsabilità. In troppe occasioni li ho visto abilmente intrufolarsi in posti di responsabilità, dove fanno danni e questo prescinde dalla loro capacità di restare come patelle attaccate allo scoglio. In questo caso non solo sfuggono agli esami cui dovrebbero essere sottoposti, ma vengono meno al più importante degli esami: l'esame di coscienza. Ed a quell'esame non si può mai portare un argomento a scelta.