In molti hanno ricordato in questi giorni i cento anni dalla nascita del Papa polacco, Karol Wojtyla, il primo Pontefice - ormai Santo - in visita in Valle d'Aosta. Una terra che Giovanni Paolo II amò sinceramente e divenne luogo preferito per le sue vacanze estive, nel buon retiro a Les Combes di Introd, dove incontrava con piacere le persone, specie durante le sue escursioni. Era la sera di una splendente giornata di fine estate, il 6 settembre del 1986, quando il Papa arrivò per la prima volta ad Aosta e parlò in una piazza Chanoux gremita di folla. Io ero là per fare la telecronaca "Rai" e mi occupai, la domenica dopo, della diretta in nazionale della messa celebrata nel prato di Montfleury (dovetti studiare parecchio per non fare sbagli). Negli anni successivi, per le dieci vacanze papali, ho avuto il privilegio di incontrare il Papa, nei diversi ruoli pubblici che ho ricoperto, ed ho delle bellissime fotografie del fotografo ufficiale del Vaticano anche con i miei figli piccolissimi. Ricordo il primo incontro, quando mi disse: «Un deputato giovane, bene, bene!».
Il giudizio storico sul Papato di Karol Wojtyla spetta certo a persone ben più esperte, però a me, oltre all'umanità ed al carisma, colpirono due cose. La prima è la straordinaria accuratezza con cui veniva costruiti i suoi interventi pubblici: nessuna personalità in visita nella nostra Regione autonoma ha mai approfondito con tanto acume nei discorsi la realtà valdostana. La seconda è l'impressione del lento e inesorabile deperimento del Papa polacco colpito dalla malattia, resa nella sua evidenza da una celebre foto che, affaticato e stanco, guarda un panorama alpino con aria riflessiva. L'uomo energico e brillante dei primi soggiorni si trasformò in un anziano malato e sofferente e questo aspetto, specchio della fragilità umana, non può che colpire come metafora della parabola della vita. Ma aggiungerei cosa disse Giovanni Paolo II sul Mont Chétif a Courmayeur, domenica 7 settembre 1986, in occasione proprio della prima visita in Valle: «Rinnovo questo appello alla vigilia del giorno in cui la Chiesa festeggia la Natività della Vergine santissima. Maria è la madre dell'umanità redenta, perché è la madre di Cristo, il Redentore. Nessuno più della madre è in grado di favorire la reciproca comprensione e l'intima coesione tra i componenti della famiglia. E l'Europa è una famiglia di popoli, legati fra loro dai vincoli di una comune ascendenza religiosa. A Maria rivolgo pertanto la mia preghiera perché voglia guardare con occhio di materna benevolenza all'Europa, a questo continente costellato di innumerevoli santuari a lei dedicati. Possa la sua intercessione ottenere agli europei di oggi il senso vivo di quegli indistruttibili valori, che imposero l'Europa di ieri all'ammirazione del mondo, promuovendone l'avanzamento verso traguardi prestigiosi di cultura e di benessere». Espressioni sull'europeismo non banali, in una logica di preveggenza, quando esisteva allora ancora la Cortina di ferro, che iniziò a sbriciolarsi due anni dopo con la caduta del muro di Berlino. Leggendo i discorsi pronunciati in Valle d'Aosta, si ritrovano altri temi importanti, ad esempio sulla bellezza delle montagne e sulla mistica che esse interpretano per i credenti (in verità in tutte le religioni). Le sue immagini su di un ghiacciaio del Monte Bianco - accompagnato dalla guida alpina Franco Garda - assumono un valore simbolico per sempre. Forse per ricordare il suo amore per la nostra piccola Valle d'Aosta bisognerebbe fare qualcosa di più di quanto fatto sino ad oggi.