Ho deciso di aderire al Comitato, nato in Emilia-Romagna, #lascuolaascuola, che si è costituito - cito le ragioni cardine - "con l'obiettivo di sensibilizzare le Istituzioni nazionali e locali sui temi educativi e promuovere una mobilitazione nazionale che metta al centro dell'agenda del nostro Paese la riapertura delle scuole e dei servizi educativi. Occorre investire sulla scuola programmando un Piano a lungo termine, che consenta lo svolgimento dell'attività educativa in condizioni di sicurezza". Ne fanno parte scienziati, medici, insegnanti, psicologi, genitori, che sono insieme per la riapertura delle scuole in sicurezza. I promotori segnalano come, mentre parte la famosa "fase 2", nessun Piano di riapertura è stato reso pubblico dalla ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina, cui piace - permettetemi di annotare - farsi intervistare con annunci roboanti e mai discussi neppure in ambito governativo. Basta leggere il suo curriculum per verificarne la pochezza in un ruolo così importante.
"Eppure - sostiene il Comitato - una progettualità educativa precisa e dettagliata è assolutamente urgente: la didattica a distanza, importante per affrontare provvisoriamente l'emergenza, resta uno strumento del tutto inadeguato per rispondere ai bisogni educativi di bambini e adolescenti". Questa vale moltissimo anche in una realtà come la Valle d'Aosta, che ha responsabilità proprie in materia scolastica e spetta alla Regione progettare il da farsi in un territorio che ingloba realtà moto diverse al proprio interno e sarei stato favorevole, nelle realtà più piccole, a forme di sperimentazione di ritorno in classe nella scuola dell'obbligo, laddove ci sono pochi alunni e disponibilità di strutture scolastiche che si adattino alle norme igienico-sanitarie per assicurare la necessaria tranquillità per tutti. Per evitare genitori protestatari si sarebbe potuto anche scegliere la strada di consentire alle famiglie di accedere a titolo volontario a questa proposta. Ma temo che si debba essere realisti e preparare per settembre una riapertura "alla valdostana", senza seguire le logiche romane tracciate confusamente dalla Ministra. Leggevo su "Sette" un editoriale di Gianna Fregonara ed Orsola Riva, che condivido e che dice: «E' più pericoloso, di questi tempi, andare a scuola o non andarci? Ridotta all'osso, la questione è tutta qui. Diritto alla salute "contro" diritto all'istruzione. Finora non c'è stata scelta. Di fronte al dilagare della pandemia da "covid-19", la decisione non poteva che essere una: chiudiamo le scuole, mettiamo al sicuro bambini e ragazzi e, con loro, madri, padri e nonni. Ma ora che si inizia a intravvedere una luce in fondo al tunnel, ora che il contagio sta rallentando un po' ovunque, è il momento di decidere e la politica deve uscire dall'angolo in cui era stata cacciata dall'emergenza e fare il proprio mestiere: immaginare soluzioni a misura della nuova e più lunga fase che abbiamo davanti, quella in cui dovremo convivere con il "coronavirus". Mentre alcuni nostri vicini, dalla Danimarca alla Germania alla Francia, hanno deciso di strappare in avanti riaprendo le scuole secondo geometrie variabili (prima i più piccoli o prima i più grandi, prima alcune regioni e poi altre), noi abbiamo scelto di non prendere rischi: l'anno scolastico è agli sgoccioli, il gioco non vale la candela, troppe incognite e incertezze. Ma ora abbiamo davanti quattro mesi per progettare il rientro e dobbiamo tornare a porci la domanda di partenza spostando però l'accento sull'importanza di andare a scuola. Perché è solo stando in classe con i loro compagni e i loro prof che i nostri figli possono davvero imparare, a furia di sbagli e per forza di imitazione. Con l'istruzione è in gioco un diritto fondamentale: quello al "pieno sviluppo della persona umana" così ben tratteggiato dai padri costituenti». Aggiunge poi - come non essere d'accordo - laddove si osserva: «Alcuni esperimenti di didattica digitale fatto in questi mesi sono stati addirittura miracolosi, altri molto meno. Se si sceglierà, come stanno facendo gli altri Paesi europei, una didattica mista, il governo dovrà assumersi la responsabilità di una progettazione di ampio respiro, formando maestre e professori e raggiungendo tutti gli studenti. Il rischio di aumentare le diseguaglianze - in un Paese dove un ragazzo su tre esce dalle medie senza saper leggere, scrivere, né fare di conto - è altissimo. Mentre con un po' di ambizione (è un investimento economico proporzionato) l'emergenza "coronavirus" potrebbe addirittura diventare l'occasione per un rilancio della scuola. Basta volerlo». Da noi ma responsabilità è in capo alla Regione, che deve assumersi onori ed oneri. I numeri delle classi valdostane sono in gran parte inferiori alla media dei 28-30 citati dalla ministra, questo per il combinato disposto dalla scelta autonomista dal dopoguerra in poi di sostenere le scuole di montagna e il decremento demografico. La Regione deve scegliere una strada propria e spero che questo emerga con forza dal tavolo di lavoro istituito dall'assessore competente. Questo perché non si può pensare, come propone l'Azzolina, di consentire i centri estivi (a pagamento e in mano al terzo settore) e poi porre limitazioni ad un servizio (che è anche un diritto fondamentale) che dovrebbe essere garantito dal pubblico. E' illogico, anzi inspiegabile, a fronte di annunci di incremento di assunzioni. Soprattutto se si considera che le difficoltà non sono collegate ai numeri, ma alla relazione numeri/spazi. Come si risolve il problema del distanziamento aumentando gli insegnanti se non ci sono le aule? Le problematiche da affrontare sono numerose ed è bene muoversi sin d'ora per non arrivare impreparati a settembre. Il "Comitato la Scuola a Scuola" nasce proprio con questo scopo: proporre soluzioni, favorire lo scambio, sostenere i diritti di studenti e genitori in una fase oscura per la scuola. So di iniziative in questo senso anche di genitori in seno agli organi collegiali delle scuole valdostane. Bisogna avere chiarezza sulla ripresa a settembre. Le scuole devono fornire ai genitori i modi, i tempi e i luoghi in cui intendono riaprire. Ci vuole garanzia di omogeneità dell'offerta tra i plessi per evitare la corsa allo spostamento degli alunni verso le scuole più performanti o confacenti alle esigenze famigliare. Ci vuole un'oggettiva riflessione sulla connettività in Valle e sulla reale possibilità delle famiglie di accedere alla didattica alla distanza, che non è fattibile con uno smartphone con 3G. Ci vuole un censimento degli immobili scolastici che consenta di valutare opzioni di spazi diversi (ragionando su Saint-Vincent, dove vivo, penso all'immobile che ospitava il Liceo oggi praticamente vuoto anche se in parte destinato ad un'Università (sic!) mai pervenuta) un piano per la loro sanificazione, la riflessione sugli spazi mensa, la fornitura dei "dpi", il personale ausiliario. Bisogna darsi da fare, senza tentennamenti, prendere una posizione su dove si vuole andare e iniziare a lavorare sin d'ora, perché i mesi passano in fretta. Si parla di settembre: chi non agisce non potrà accampare scuse, il tempo per fare c'è. Ci vuole la volontà.