Ripartire è necessario e fa quasi più timore questa nuova fase rispetto alle abitudini che ci siamo costruiti in queste settimane di clausura domestica. Esperienza, fuor di retorica sulla meraviglia di questa intimità, che credo che ci abbia messo tutti a dura prova, perché un conto è scegliere come vivere, un altro è subire ordini, pur a fin di bene, che cambiano in profondità la nostra esistenza e la nostra percezione delle libertà. Tema, quello dello stato di eccezione che viola libertà individuali e collettive, cui bisogna porre argine alla fine di tutto, perché i diritti civili sono essenziali in democrazia e già l'invadenza dei sistemi digitali preoccupa non poco nella normalità degli eventi.
Già uscirne da questa situazione grave, almeno per ora, sano e non malato e senza lutti familiari, in un quadro di un lavoro rassicurante, mi obbliga a prenderla dal verso giusto, perché sarei un imbecille a lamentarmi rispetto a dolori, paure e sofferenze di chi ha avuto altre storie, ma denunciare qualche malessere credo che sia legittimo. Quello principale ha due aspetti legati alla mia stessa vita. La prima è la scarsezza di gran parte della politica che ha reagito alla crisi in maniera scomposta e contraddittoria, ma capisco l'horror vacui di un'epidemia diventata pandemia. La seconda è il mondo dell'informazione che non sempre ha dato il meglio in questo scenario nuovo e inatteso, fornendo troppo spesso notizie smentite l'indomani per scarsa attenzione alle fonti ed a causa di un giornalismo "militante" che andrebbe bandito. Ma quel che è stato è stato e serva semmai da lezione per l'orizzonte attuale, la necessaria ma preoccupante ripartenza, che non consente dilettantismi e obbliga a certezze, nel limite del possibile, sull'Intrico fra ragioni sanitarie per fare in modo che il contagio, al posto di rallentare, acceleri di nuovo e quelle dell'economia per evitare che vada tutto a rotoli. Ma anche evitando la tentazione che a profittare delle misure di sostegno sia anche chi non ne ha diritto o anche la stortura di fare dell'Europa il capro espiatorio di vizi nazionali antichi e ripetuti. Magari cercando nel contempo, proprio per evitare che l'Italia finisca a picco per sempre, di capire che l'indebitamento - utile nella difficoltà contro lacci e lacciuoli insensati - non è un "pozzo di San Patrizio" senza fondo, perché altrimenti finiremmo di male in peggio. Ci vuole giudizio ed intelligenza e nel Governo Conte non ne vedo molta e su certa scarsezza del presidente valdostano Renzo Testolin non mi esprimo più, perché lui resterà lì, evidentemente convinto di avere doti, capacità ed energie per tirare avanti. Complimenti per l'autovalutazione e mi auguro di essere smentito e scoprire che il "traghettatore" (così si è definito) verso le complicate elezioni regionali non era un barcaiolo ma un nocchiero. Tornando alla ripartenza, vorrei dire quanto questa appaia come una sfida rilevante. E' ormai chiaro come da Roma si sia avviata una fase istituzionale centralistica, che tende a rivedere l'organizzazione della Repubblica a sfavore della democrazia locale. Ogni giorno si ripete che la sanità e tutto il resto spettano al Governo (il Parlamento in questa fase ha perso ogni ruolo, se non di ratifica di scelte già prese!) e non ai poteri regionali e la stessa solfa viene ripetuta per qualunque settore. Sono controcorrente rispetto a questa impostazione, perché semmai ritengo che solo la sussidiarietà - cioè la valorizzazione di chi conosce territori e comunità perché li vive - possa evitare che da schemi generali in capo allo Stato si scenda, come in parte già avvenuto, a regolamentazioni così dettagliate e stringenti da non tenere conto delle particolarità che esistono. Pensiamo al turismo alpino in vista dell'estate. Crediamo davvero che non debbano essere le Regioni alpine, confrontandosi con le Regioni degli altri Paesi sul versante Nord della catena montana, a riflettere sulle misure necessarie per evitare che regolamentazioni non confacenti alla realtà facciano dei danni? L'esempio potrebbe essere moltiplicato e occuparsi di tanti altri settori che mostrano la necessità di conoscere per deliberare e non pensareche altri, da distante e senza conoscenze reali, agiscano nel modo migliore. Dovrebbe vigere un principio di leale cooperazione che sembra ormai dimenticato e l'impostazione regionalista vigente nella Costituzione appare per molti leader e leaderini un impedimento alla logica dell'«État c'est moi». Sarebbe una ben triste svolta, approfittando di un'emergenza.