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05 apr 2020

Non si può fare da soli nell’emergenza

di Luciano Caveri

Capisco quanto sia pesante il ruolo di presidente della Regione, oltretutto se lo si diventa per causa di forza maggiore, e quanto sia difficile farlo con quel che resta di una maggioranza eterogenea in una Legislatura controversa e brutta in tutti i sensi. Capisco anche quanto sia una batosta per il medesimo presidente, che già ha purtroppo i suoi problemi di salute, trovarsi al comando nel corso di un evento secolare come una pandemia che resterà nei libri di Storia. Ma non può essere accettabile per nulla fare appelli all'unità d'intenti e poi essere sordi a qualunque proposta, chiuso in una solitudine di un potere debole e mal esercitato. Nelle periodiche conferenze stampa emergono un forte senso di incertezza, balbettamenti istituzionali, la scarsa capacità di far sistema con Roma, l'assenza di rapporti con Bruxelles e con le Autorità francesi e svizzere, con cui i legami storici sembrano dimenticati.

Mi riferisco a Renzo Testolin, che personalmente conosco poco, per cui non giudico la persona o il suo carattere, ma i suoi comportamenti, che mi paiono solitari ed introflessi e cozzano con la necessità dell'emergenza e di quanto bisogna preparare oggi per il dopo e sarà dura e prevede inventiva e coesione e non l'ordinaria amministrazione tinta da una inspiegabile presunzione. Un amico mi ha mandato una riflessione di Bruno Mastroianni, filosofo, assegnista di ricerca presso l'Università di Firenze sulla comunicazione digitale e curatore delle pagine web "Rai Superquark" e "La grande storia", che propone di partecipare alla palestra di botta e risposta su www.brunomastro.it ed anche per questo lo segnalo. Ecco i pensieri, che partono da vicende più grandi noi, ma si calano alla fine anche sulle vicende locali: «"Pieni poteri". Da quello che accade in Ungheria fino al nostro quotidiano, pensare che si faccia prima a fare le cose da soli, il filo è lo stesso. L'illusione che sia un atto lineare, semplice (in realtà non semplice, ma ridotto) a risolvere una situazione complessa è il tipico frutto della sfiducia verso la discussione che si è andata costruendo negli anni. La sensazione che dibattere prima di decidere sia solo una perdita di tempo è il cuore della crisi della democrazia. "Pieni poteri", poi, assomiglia curiosamente a un'altra espressione in voga di questi tempi: "poteri forti", con cui si individua in modo tanto immediato quanto vago il colpevole di ogni falla nel sistema. Tutto questo insieme di riduzioni attorno al potere porta a non vedere dove il potere stia realmente. In una struttura a rete globale nessuno ha "pieno potere" (neanche se lo autoproclama) e nessuno ha un potere abbastanza "forte" da essere determinante. Lo stiamo vedendo in questi giorni di pandemia in cui ci appare l'altissima interdipendenza in cui siamo immersi a ogni livello: da quello globale fin quello più ravvicinato locale, in cui ci accorgiamo quanto la nostra salute dipenda dalle decisioni quotidiane degli altri vicini attorno a noi. Per avere contezza di questa rete c'è solo una strada: quella di discutere, mettere alla prova, contraddire e superare contraddizioni, per articolare le differenze prima di ogni decisione. Solo così, con questa fatica partecipativa e deliberativa, si ottiene il vero potere: quello di fare le scelte migliori. Migliori non solo perché collaudate dalla discussione, ma anche perché dotate di maggiore possibilità di essere comprese e adottate dalla moltitudine allargata che alla discussione partecipa o almeno assiste (e qui il ruolo cruciale di un dibattito pubblico di qualità). In una struttura a rete il potere è tale solo se muove un numero sufficiente di nodi a far la loro parte, ciascuno nel punto del network che ricopre in modo esclusivo e insostituibile. Senza fatica disputante e partecipativa, invece, si avranno decisioni tanto veloci e appariscenti quanto ridotte e miopi negli effetti. Chi fa da sé non fa affatto per tre: fa danni a tutto il resto della rete». Per me la Rete è la logica federalista, un tempo punto di riferimento della "mia" Union Valdôtaine, che lei rigetta, caro Testolin, un "uomo solo al comando", specie se sempre più solo, ma "têtu", che in francese vuol dire "Qui est obstinément attaché à ses opinions, à ses décisions; qui est insensible aux raisons, aux arguments qu'on lui oppose".