Suona quasi beffarda, ma molto consolatoria, la Natura che mi ha offerto due immagini di sé, che sembrano contraddire la tensione di queste ore. Tensione vera, non inventata, perché quello cui ci confrontiamo è da un lato la nostra evidente fragilità quando si sconquassa il ritmo abitudinario della nostra vita e, dall'altra, quando tutto avviene con una incredibile rapidità, dall'oggi al domani. Da qui le due immagini. La prima era notturna: un'immagine della nostra vallata centrale illuminata dalla luna con un cielo azzurro cobalto fiabesco che lasciava senza fiato. La seconda, nel dormiveglia mattutino, è fatta di suoni: erano due uccelli che gorgheggiavano mentre albeggiava, come per annunciare la primavera che verrà. Due pillole di speranza in un periodo di cattivi pensieri a causa - detto papale papale - di una malattia che ci minaccia e non si tratta di una battaglia personale, come capita quasi sempre, ma di una prova collettiva e, come tale, ancora più complessa.
Ha osservato la scrittrice statunitense Susan Sontag: «La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno della salute e in quello della malattie. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell'altro paese». Oggi molti di noi si sentono come sospesi fra questi due opposti, in una sorta di "terra di nessuno", in cui non si sa se l'infinitesimale virus possa toccarci e, nell'eventualità, quale percorso potremmo avere. Mi ha molto colpito, anche per i toni sinceramente apocalittici (ma penso che sia per ingenerare la reazione positiva, conoscendo la pacatezza del presidente, Roberto Rosset), dell'Ordine dei medici della Valle d'Aosta, laddove scrive: «Consci che anche nelle regioni al momento non particolarmente colpite, il modello matematico "Sir" cui in questi giorni gli epidemiologi si rivolgono, prevede, nell'assenza della corretta applicazione di provvedimenti restrittivi, un tasso d'incremento di un "fattore 10" ogni 19 giorni e che quindi se in Valle di Aosta, oggi 8 marzo, ci sono tredici infetti il 27 di marzo ce ne dovremmo aspettare almeno 130 ed il 15 di aprile almeno 1.300 di cui circa 130 con la verosimile necessità di terapia intensiva, per evitare questo scenario chiediamo a tutti i cittadini la massima responsabilità nel limitare i propri contatti sociali con la rigorosa adesione alle misure imposte dalle Istituzioni». Poche righe prima lo stesso Ordine entra - e ciò mi stupisce - in polemica con dei propri colleghi: «L'Ordine dei Medici della Valle di Aosta pur comprendendo le difficoltà oggettive in cui si trovano attualmente molti reparti di terapia intensiva, si dissocia dalle raccomandazioni di etica clinica diffuse ieri dalla "Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva - Siaarti" in cui vengono definiti criteri di scelta per l'ammissione alle terapie intensive ove le risorse non fossero disponibili per tutti, a seguito di un precipitare dell'emergenza dovuta al "covid-19". Riteniamo che tale documento debba essere recepito solo come un grido di dolore in quanto siamo profondamente convinti che le Istituzioni sapranno governare efficacemente le criticità emergenti e che i cittadini risponderanno in modo responsabile a quanto richiede la gravità del momento. Il Codice di deontologia è chiaro: tutti i pazienti sono uguali, vanno curati senza discriminazioni e nessun medico dovrà mai essere costretto a dover ergersi a giudice». Giustissimo in teoria, ma i rianimatori si limitano a fotografare quanto già avviene in certe "zone rosse" e cioè al fatto che se le macchine per garantire la sopravvivenza a fronte di patologie polmonari non sono sufficienti, ci vuole una scelta su chi ne possa usufruire, essendo le risorse materiali insufficienti per tutti quelli che ne hanno bisogno e nella scelta di lasciar posto ha chi ha più speranze di vita esiste un'evidente, anche se dolorosa, ragionevolezza. Ho letto un medico che commenta con tristezza: «siamo in una guerra e bisogna aiutare chi ha più possibilità di farcela». Ha scritto il giornalista e sociologo canadese Malcolm Gladwell: «Le epidemie dilagano secondo una progressione geometrica [...] In quanto essere umani, ci troviamo a disagio con questo genere di progressione, perché il risultato finale, l'effetto, sembra assolutamente sproporzionato rispetto alla causa. Per comprendere il potere delle epidemie, dobbiamo abbandonare questa visione della proporzionalità e prepararci alla possibilità che, a volte, i grandi cambiamenti derivino da eventi di poco conto e che spesso queste trasformazioni possano verificarsi con grande rapidità». Già, queste circostanze che stiamo vivendo incidono in profondità nel costume e nella nostra mentalità e nella parte inconscia che fa parte del bagaglio di una comunità, specie se sarà pandemia e dunque impatterà sull'umanità intera come un segno indelebile. Ma nelle prove ci soccorre la speranza: «La speranza è un rischio da correre. E' addirittura il rischio dei rischi», così si esprimeva Georges Bernanos, scrittore dalla vita travagliata, che era sopravvissuto alla trincea della Prima Guerra Mondiale.