La testata "Linkiesta" ha registrato, qualche tempo fa, un botta e risposta fra due persone che sono di certo accomunate dall'amore per la montagna. Il primo è Riccardo Chaberge, giornalista e scrittore torinese, che ha scritto un articolo ironico sotto il titolo "Sciare sulle Alpi col permesso di Greta (e di Cognetti)", che così recita: «Sto sciando sulle Alpi svizzere, non lontano da Davos, proprio nei giorni in cui al "World Economic Forum" i potenti della terra, scesi dai loro jet privati, discutono di ambiente e subiscono senza reagire le cazziate di Greta (a parte Trump, che reagisce cazziandola a sua volta). Ho parcheggiato la mia crossover a benzina "euro 6" e salgo in seggiovia con una coppia di lombardi, dall'accento sembrano bergamaschi».
«La ragazza indica una casetta in pietra, poco più in alto - racconta ancora Chaberge - "E quella, che roba è?", chiede al compagno. "Una stalla, non vedi?". Gridolino di stupore: "Maddai! Credevo fosse un rifugio". "Ma no, lì d'estate ci portano le mucche e le capre. Anche quella baita lassù, e quell'altra sulla destra sono stalle". Lei è sempre più incredula: "Come è possibile, che se ne fanno di tutte queste stalle?". Non riesce a capacitarsi che in montagna ci siano costruzioni destinate a usi diversi dall'intrattenimento degli sciatori. Chissà se ha mai visto una mucca: probabilmente si meraviglierà che non abbia i cingoli come i gatti delle nevi. Non capisce che se le valli svizzere sono così belle, è merito delle stalle e degli alpeggi, non certo degli impianti di risalita. Perché sono abitate da contadini e pastori veri, non solo da albergatori e maestri di sci. C'è un artista contemporaneo, Gianluca Di Pasquale, che dipinge folle di sciatori su fondo bianco, come fantocci colorati che galleggiano nel vuoto. La montagna, nei suoi quadri, è uno spazio totalmente antropizzato, dove la natura diventa invisibile: è lo sguardo del turista medio, che ormai vede nell'ambiente alpino niente più che un parco giochi, un "non luogo" senza identità. Lo sci come sport di massa è stata una delle grandi rivoluzioni della modernità, paragonabile al volo, alla ferrovia e all'automobile. Una esperienza di vita senza precedenti che ha sovvertito il rapporto tra uomo e montagna, una sintesi inedita di velocità e contemplazione della natura, di paesaggio e tecnologia. Essendo nato nella prima metà del secolo scorso, io ho imparato a usare gli sci ai tempi di Toni Sailer e delle Olimpiadi di Cortina, le prime, quelle in bianco e nero del 1956: e pur restando uno sciatore accanito anche nell'era dei carving e della neve programmata, ogni tanto rimpiango le piste battute dagli alpini e piene di cunette, gli scarponi unti di grasso e le giacche a vento senza imbottitura, quando papà ci metteva la "Gazzetta del Popolo" sulla pancia per ripararci dall'aria e soffiava dentro le muffole per scaldarci le mani congelate. Anche se so benissimo che quella montagna incantata era un privilegio per pochi, alla nostalgia è difficile resistere, specialmente a una certa età. Confesso che il sovranismo alla boscaiola di Mauro Corona, con la sua retorica del buon tempo andato, mi fa sinceramente orrore. Apprezzo invece Paolo Cognetti come scrittore (mi ha commosso il romanzo con cui ha vinto lo "Strega", "Le otto montagne") e anche come persona: una volta mi ha proposto di andare a camminare con lui, ma temo che non riuscirei a tenere il suo passo. Noi sciatori, per Paolo, siamo dei barbari stupratori della natura, lui preferisce la montagna primitiva, tutta stambecchi e baite con stufa a legna. E quando mi capita un tipo come la signora del "Maddai!" sarei tentato di dargli ragione. Poi però guardo i pensionati, miei coetanei o giù di lì, che affollano le cabinovie nei giorni feriali: veterani del sistema retributivo, martiri della Fornero e più freschi virgulti di "quota 100", ognuno coi suoi bravi sci a spatola che curvano da soli, il piumino "Northface", ginocchiere e guanti elettroriscaldati e "cintura Gibaud" sotto la tuta. Se non ci fossero i moderni mezzi di risalita, non sarebbero certo in grado di arrampicarsi con le pelli di foca o di scendere in neve fresca come ai tempi dei pionieri. Hanno bisogno di piste ben tracciate e levigate, larghe come autostrade a quattro corsie. La montagna di Cognetti è suggestiva ma elitaria, proprio come quella degli anni Cinquanta che ogni tanto rimpiango. E' anche un po' darwiniana: fatta su misura per una stirpe giovane e palestrata, senza problemi di artrosi o di circolazione. Confinerebbe gli anziani nelle passeggiate a fondo valle, o peggio nel salotto di casa davanti al televisore o a "Facebook", o a sbronzarsi nella vineria di quartiere, condannandoli alla gotta e al diabete. Anche a me piacciono le valli segrete e silenziose, dove incontri solo cervi e marmotte. Ma mi piacciono anche le funivie, e mi piacciono perfino (Cognetti si tenga forte) i cannoni sparaneve, con quelle eliche luccicanti come i biplani di Marinetti. Greta e Paolo mi diranno: "ok, boomer"! Ma non essere egoista, pensa alle generazioni future. Giusto. E allora facciamo un "Green Deal", o meglio un "White Deal": io mi impegno a ridurre le emissioni, mi muoverò di più in treno, dove è possibile anche per raggiungere i campi da sci, e passerò all'auto elettrica il giorno che Mister Musk si degnerà di abbassare i prezzi. In cambio, voi lasciatemi le mie funivie. Ai pensionati potete (anzi dovete) togliere "quota 100", ma non "Quota 3000". Almeno fintantoché il global warming non si sarà mangiato l'ultimo lembo di neve». Cognetti, ormai valdostano d'adozione, visto che vive in Val d'Ayas, è la seconda persona segnalata in premessa, che replica sulla stessa testata, dando il senso di essersela presa: «Ciao Riccardo, l'ironia mi diverte, ma mi dispiace davvero che tu abbia scritto questo articolo. Per noi che ne abbiamo la possibilità, non è proprio il momento di prendersi uno spazio sui mezzi d'informazione per difendere lo sci di discesa, come qualunque altra pratica umana distruttiva verso il paesaggio. Sono in atto tante battaglie da sostenere. Parli con nostalgia dei fogli di giornale sulla pancia e questo mi fa pensare che tu sia semplicemente rimasto allo sci di un po' di anni fa, e non ti renda conto di cos'è diventato: una forma devastante di turismo industriale. Lo sci di discesa non è più una pratica accettabile, lo stesso Cai (non proprio un'associazione di estremisti) ha smesso di difenderlo: se vuoi sciare in modo pulito c'è solo un modo, sali a piedi. Lo fanno già in tanti ed è solo questione di cambiare abitudini, come spesso succede quando parliamo di ambiente. Scrivi: "Lasciateci le nostre funivie". Ti rassicuro, quelle vecchie nessuno le toccherà mai (hai mai sentito di un'infrastruttura demolita o di un'area edificata e poi restituita alla montagna? Io no). Il problema grave sono i nuovi impianti che dappertutto vengono progettati. Solo due giorni fa la Regione Valle d'Aosta ha commissionato ufficialmente uno studio sul collegamento funiviario Champoluc-Cervinia, che devasterà il Vallone delle Cime Bianche (ai tempi dello "Strega" ne scrissi un articolo che forse hai letto). Situazioni analoghe si verificano nel parco Veglia-Devero (progetto di nuovi impianti di risalita e piste da sci all'interno di un parco nazionale!), sulle Dolomiti Bellunesi (idem), e in tante altre zone da cui mi scrivono i vari comitati locali di difesa del territorio. Nel decreto valdostano il nuovo impianto è definito come "contrasto al cambiamento climatico", cioè questa è l'idea per il futuro: siccome in basso c'è sempre meno neve, non ci resta che costruire piste da sci sempre più in alto! Oggi a 3.000 metri, domani a 4.000. La zona del Monte Rosa in particolare si presta benissimo agli impianti d'alta quota: non sarebbe difficile costruire una stazione d'arrivo sulla Piramide Vincent, a 4.200 metri, e penso proprio che tra non molto se ne comincerà a parlare (del resto l'attuale impianto arriva a 3.500). Inutile dire che queste battaglie locali sono tutte perse, anche perché oggi sono battaglie contro le potenti amministrazioni leghiste. Quando mi definisci "elitario" - non è la prima volta - non parli mai di quale sia, per te, il limite della montagna servita dagli impianti o dalle strade: non pensi che lo dovremmo stabilire? Potrebbe essere fino a 2.500, a 3.000 metri? Punta Helbronner (3.600) non è un po' troppo? Oppure decidiamo che ci andrebbe bene anche una funivia in cima al Bianco o al Cervino? E guarda che non è affatto un'esagerazione: la Valle d'Aosta è l'unica regione intorno al Bianco in cui sia ammesso l'eliski (che è vietato sia in Francia che in Svizzera). A Courmayeur, a Cervinia, a Champoluc, come saprai, puoi prendere un elicottero e farti portare a 4.000 metri o più su, e poi scendere con gli sci. E l'elicottero non è diverso da una seggiovia, è solo un impianto di risalita di altro tipo. Ora, tra qualche anno qualcuno sosterrà che salire sul Cervino in elicottero è un diritto, per anziani e disabili, e che l'idea di doverci salire con le proprie gambe è elitaria? Quando io dico in-montagna-si-sale-con-le-proprie-gambe intendo semplicemente stabilire una soglia: decidiamo che fino a lì si può andare in macchina-seggiovia-elicottero, da lì in su a piedi. Se quella soglia non esiste, la montagna è finita. Riccardo, incontro sui sentieri gente di 70-80 anni. In estate gli anziani sono la prevalenza. La maggior parte della gente che non va a piedi non è disabile, è solo pigra o poco allenata o non educata a camminare, è come quella ragazza che si sorprende per le stalle e pensa che la montagna sia fatta per lo sci. O che la montagna sia un prodotto, questa è l'altra grande questione: lo sciatore è un cliente (paga, consuma, pretende), lo scialpinista o il camminatore sono liberi frequentatori. La montagna dello sci è proprietà privata ("vietato attraversare la pista"), la montagna dei sentieri è di tutti. Una appartiene all'industria del turismo e l'altra è un bene comune: sei tu che paghi 50-60 euro di giornaliero euro l'elitario, mica io che chiedo di andarci gratis e a piedi! Sono vecchie categorie che dovremmo ricordare. Dai Riccardo, c'è bisogno anche di te». Giudicate voi con chi stare, come io la pensi si desume dal mio blog, ritenendo che un ragionevole equilibrio sia possibile.