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07 feb 2020

L'addio al Regno Unito

di Luciano Caveri

La Storia non si scrive mai con i "se" e con i "ma". E' verissimo, però, che ci sono sempre stati dei bivi di fronte ai quali si sono trovati singoli popoli o l'umanità intera e la scelta di un'altra strada rispetto a quella imboccata avrebbe comportato conseguenze diverse da quanto avvenuto in realtà. Può essere suggestivo interrogarsi su questi scenari diversi, ma è un esercizio che alla fine può essere considerato uno sforzo intellettuale, ma gli avvenimenti restano quelli successi. Così la grandi discussione sulla "Brexit" e cioè se un eventuale referendum ripetuto avrebbe cambiato le carte in tavola, serve a poco, se non a scopo consolatorio per chi non è d'accordo su quanto innescato dall'esito del referendum del 23 giugno del 2016 sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, anche noto come referendum sulla "Brexit" (parola composta formata da "British" ed "exit").

Questa consultazione si concluse con un voto favorevole all'uscita dalla UE con il 51,89 per cento, contro il 48,11 per cento che ha votato per rimanere nell'UE. Il voto evidenziò una spaccatura tra le nazioni del Regno Unito, con la maggioranza di Inghilterra e Galles favorevoli ad uscire e la maggioranza di Scozia e Irlanda del Nord che votarono per rimanere. Poi si entrò nel frullatore di una crisi politica, se non istituzionale, da cui è uscito - per me inspiegabilmente - il successo personale, con le ultime elezioni anticipate, di quel fenomeno controverso della politica inglese che è Boris Johnson. Personalmente credo che ci siano due aspetti di questa uscita ancora in fase di negoziazione nei suoi particolari e che vede il 2021 come l'anno decisivo. Il primo riguarda l'Europa stessa e la necessità di capire che cosa non abbia funzionato di fronte a questa scelta inglese di filarsela. Il modello europeo si è sviluppato in modo sbagliato - e lo dico da federalista - perché si è tratto di una sommatoria di Stati con un eccesso di burocratizzazione rispetto ai progetti politici. E, tuttavia, non esiste alternativa al progetto di integrazione europea, solo antidoto contro un impoverimento progressivo del Vecchio Continente se non si ragiona in termini unitari di fronte a sfide globali. Ma questa costruzione o avverrà in chiave federalista con sovranità condivise nei diversi livelli di Governo e non facendo del centralismo europeo la sommatoria dei centralismi nazionali oppure il fallimento si profila con spinte sovraniste distruttive e non costruttive. E' possibile che una risposta possa venire da un'Europa a due velocità con un gruppo - di cui non è scontato che l'Italia faccia parte - che getti il cuore oltre l'ostacolo e prosegua processi di unificazione seri, mettendo in un girone di "serie B" tutti quegli Stati che, arrancando, dopo aver goduto dei vantaggi dei finanziamenti comunitari, attizzato gli animi anti-europeisti. L'altro aspetto riguarda il Regno Unito e la loro convinzione, lungo l'asse atlantico con gli Stati Uniti, di liberarsi di un fardello dei partner europei e spiccare il volo memore di vecchia gloria imperiale che è una pia illusione. Io resto convinto che quella mossa di uscire sarà pagata cara, ricordando come l'esito favorevole al distacco avvenne sul filo di lana e come spinte isolazioniste siano oggi nocive e anacronistiche. Un messaggio forte e chiaro potrà venire dal referendum per l'indipendenza della Scozia in chiave filoeuropeista (Johnson dice che lo consentirà, ma penso che alla fine non oserà farlo) ed anche l'Irlanda del Nord dovrà dire la sua e si sa che si tratta anch'essa di una popolazione tenace. Da loro si può ripartire. Resta per chi ha vissuto, come me, importanti esperienze europee il grande rimpianto per questa scelta della "Brexit". Ho amato moltissimo i miei colleghi del Regno Unito con la loro grinta, la loro testardaggine e il grande senso di appartenenza, che rendeva l'Europa più forte con un apporto fatto di intelligenza e di pragmatismo, quale è sempre stata quella visione plurale della loro antica democrazia. Appartengo a coloro che sperano di poter vedere un riavvicinamento che non sia fatto di accordi parziali o segua l'idea di prendere solo quanto si considera buono dell'Europa, scartando il resto, perché non sarebbe serio. Il grande negoziatore dell'Unione, Michel Barnier, sarà la garanzia che non si accetteranno furberie o escamotage. Quel Barnier che, giorni fa, ha citato anche «le Val d'Aoste», ricordando la vicinanza della sua Savoia ed il comune carattere tosto di chi è abituato a vivere in montagna. D'altra parte il processo d'integrazione europea è sempre stato fatto di alti e bassi, di vette vertiginose e di cadute in profondità, ma - sul lungo periodo - i progressi ci sono stati e solo chi è in malafede può pensare di distruggere la grande casa Europea. Diverso è immaginare una costruzione più ambiziosa e rispondente alle speranze dei propri cittadini.