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07 feb 2020

"1917": gli orrori della guerra

di Luciano Caveri

Capisco la tentazione crescente - per le molte piattaforme ormai disponibili - di guardarsi i film su schermi televisivi sempre più grandi e con immagini sempre più vivide ed il "4K" studiato dal "Centro ricerche Rai" di Torino lascia stupefatti e sta arrivando altro di ancora più innovativo. Eppure il cinema resta il cinema! Non solo dal punto di vista tecnologico, essendo "girato" per il grande schermo, ma perché nell'atmosfera buia di una sala non esistono le molte distrazioni di un ambiente domestico. Ovvia riflessione per un film storico e drammatico come "1917" che vale la pena di vedere, concentrandosi su un racconto che commuove. Paolo Mereghetti sul "Corriere della Sera" è il solo, con la sua capacità di raccontare i film, ad avere avuto la sintesi giusta nella descrizione di due ore in poche frasi: «La guerra come dovere, come ordini (da eseguire), come missione. Ma anche come fatica, come strazio. E infine come percorso obbligato, che non lascia scampo, che ci sovrasta e ci imprigiona».

«C'è tutto questo nel film di Sam Mendes, "1917" - continua Mereghetti - nella sua voglia di raccontare la missione di due caporali inglesi sul fronte tedesco nella Prima Guerra Mondiale (in omaggio ai ricordi del nonno, cui il film è dedicato) e nella sua scelta di farlo tutto con un "unico" piano sequenza, pedinando i due soldati con una macchina da presa mobilissima e implacabile, che non lascia un momento di pausa, che non si ferma mai». In effetti, seduto nella tua poltrona, non puoi non emozionarti di questa storia di persone che come milioni di altre incrociarono la loro vita con una guerra così terribile e senza eguali quale fu la Grande Guerra. Viste nel giorno in cui gli inglesi hanno lasciato l'Europa con la "Brexit", quelle immagini crude e realistiche della sanguinosa guerra di trincea e di assalti folli è uno degli esempi più forti di quanto il Continente debba riconoscenza alla Gran Bretagna ed ai suoi soldati per la loro generosa presenza in momenti decisivi come avvenne in quel conflitto mondiale e in quello successivo. E chi vede l'orrore di quelle vicende dalla visuale dei due caporali - piccola rotella testimone di uno scenario doloroso e luttuoso - non può che pensare alla necessità di spiegare alle giovani generazioni che cosa siano state le Guerre Mondiali e che cosa siano le guerre tradizionali e anche quelle nuove, come certe forme di terrorismo. Fatti non solo del passato ma anche del presente e, purtroppo, pure del futuro per questo penchant violento insito nell'umanità. E bisogna dire, in barba a stucchevoli pacifismi, che in certe guerre è sempre giusto distinguere aggressori ed aggrediti, così come difensori della libertà da chi combatte per le dittature. Ma che la guerra e l'insieme di eventi terribili incidano non solo su chi le vive ma tocchino la mente delle generazioni successive in modo organico e non solo come patrimonio culturale è oggetto di studio da non sottovalutare. Esiste una branca della scienza che sta scoprendo, sotto il profilo dell'eredità genetica quanto lo psicanalista Carl Gustav Jung aveva chiamato "inconscio collettivo". Questa "memoria transgenerazionale" non aveva avuto delle prove palesi da un punto di vista genetico. Nuove ricerche tendono a dimostrare come i ricordi dei nostri nonni si possano trasmettere da genitori ai figli "imprimendosi" nel "Dna" e influenzando così lo sviluppo cerebrale ed i comportamenti delle generazioni successive. E' una novità che forse ci aprirà alla comprensione di certi problemi che incidono sulla vita di molti, dal male di vivere a tante paure e forse - da tempo ci penso - a certi déjà-vu che ci stupiscono. La visione del film, tornando al tema, mi fa tornare in mente certi racconti del mio nonno paterno, Emilio Timo, che fu prima in Libia e poi impegnato - in cavalleria - nella Prima Guerra Mondiale e certi suoi comportamenti, come una certa tristezza o momenti in cui mi sembrava che vagasse chissà dove nei suoi pensieri. Erano forse quei fantasmi che noi nipotini ascoltavano dai suoi racconti del tutto incoscienti della loro drammaticità. Quei giovani come lui, buttati al fronte, sono e restano un simbolo della follia della guerra non per un pacifismo di maniera, ma proprio perché - e il film lo ricorda - popolazioni intere videro la loro vita sconvolta. Il peso del dolore, la lista dei drammi, la follia delle armi non hanno fermato la corsa e tamburi di guerra risuonano minacciosi, come se certo tragico insegnamento non fossero serviti a niente e certi cimitero di guerra, come quelli impressionanti in Normandia, non fossero un monito fatto di vite spezzate e di piccole storie che messe insieme rappresentano uno scenario desolante e ammonitore.