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04 feb 2020

Il "coronavirus" e le epidemie

di Luciano Caveri

Tocca parlare di questo "coronavirus", partendo da una prima riflessione da distante. Scriveva tempo fa, in un suo articolo scientifico "La storia delle epidemie, le politiche sanitarie e la sfida delle malattie emergenti", Bernardino Fantini, professore di storia della medicina e della salute: «La conoscenza medica e il senso comune hanno da sempre saputo che le malattie, e in particolare le epidemie, possono comparire improvvisamente in una popolazione, rimanervi per periodi più o meno lunghi, ed eventualmente scomparire, per riemergere una o più generazioni più tardi. Trasportate dai battelli, dalle carovane o dagli eserciti, le fiammate epidemiche di malattie come la peste, il vaiolo, il tipo, l'influenza, la sifilide o la poliomielite colpivano città e campagne, decimavano le popolazioni e gli eserciti, cambiando spesso il corso della storia».

«Nell'ignoranza delle cause specifiche di queste malattie - prosegue il professor Fantini - che saranno chiarite solo alla fine dell'Ottocento, gli unici metodi di lotta erano basati sulla prevenzione e sull'isolamento per impedire la diffusione del contagio. Anche se sarebbe stato essenziale condividere le informazioni sul "cammino delle pestilenze", la frequenza e la distribuzione nello spazio e nel tempo delle epidemie, allo scopo di stabilire delle correlazioni con determinate situazioni ambientali o comportamentali, a livello individuale e collettivo, nella pratica ogni città o nazione aveva interesse a nascondere il diffondersi di gravi epidemie, per paura che i blocchi sanitari impedissero i commerci e i viaggi. E le epidemie potevano quindi diffondersi rapidamente, incontrando pochi ostacoli, decimando le popolazioni, causando rotture dell'organizzazione sociale e delle relazioni familiari, distruggendo le strutture produttive. La storia delle epidemie e del loro impatto sulla salute delle popolazioni è marcata da due grandi discontinuità. La prima, che si situa a cavallo fra il 18° e il 19° secolo, è costituita dall'origine delle politiche razionali di sanità pubblica, che con un percorso complesso, talvolta contraddittorio, ma alla fine vincente, è diminuito in maniera drastica, nel mondo occidentale, il ruolo delle malattie infettive, con una profonda "transizione epidemiologica". La seconda discontinuità si situa circa due secoli dopo alla fine del 20° secolo, con l'emergenza di nuove, drammatiche malattie infettive o trasmissibili, che rimette in questione l'ottimismo diffuso nei decenni precedenti e genera nuove paure». La mia generazione è quella che ha vissuto, per sua fortuna, l'avvento delle vaccinazioni di massa, vedendo la gioia dei miei genitori perché si evitavano malattie perniciose, su cui dovrebbero riflettere quegli esaltati dei "novax", che sono un vero pericolo per i loro figli e per l'umanità. In più, chi ha la mia età ha visto apparire vicende inquietanti, come l'Aids, che hanno marcato i comportamenti sociali. Mi viene tenerezza a pensare come certe paure di oggi, come il "coronavirus", che si amplificano in un mondo globalizzato come il nostro con un'epidemia partita dalla Cina e diffusasi su altri Continenti in un batter d'occhio, pensando a come siano davvero un riflesso atavico. Scrissi anni fa di una vicenda familiare, trovando lettere scritte da Palmi - dove cent'anni fa mio nonno era Sottoprefettto - ai suoi corrispondenti ad Aosta, da mia nonna Clémentine Roux. Commuove il racconto sofferto della morte da neonato del suo primogenito in quel paese della Calabria, che lei descriveva nel suo bel francese come un mondo lontano ed esotico. Il piccino si chiamava Séverin come il figlio che nacque successivamente a quella morte causata dalla terribile "febbre spagnola". Questa influenza colpì un secolo fa quasi tutto il mondo e fu una tragedia per l'umanità. Anche la Valle d'Aosta ne subì le conseguenze, comparativamente meno tragiche di quanto avvenne in altre Regioni. A livello globale, si stima - anche se la forbice è molto ampia proprio per l'assenza di dati certi - che furono contagiati fra cinquecento milioni ed un miliardo di esseri umani su di una popolazione globale all'epoca di circa un miliardo ed ottocento milioni di individui. Per fare un paragone, attualmente l'influenza ogni anno mette a letto 250, 500 milioni di persone ma su una popolazione complessiva di oltre sei miliardi di persone. Non sappiamo e non sapremo mai con esattezza il numero di morti causato dalla "spagnola" nel mondo. Le stime più prudenti e più lontane nel tempo parlavano di 21,6 milioni di individui: secondo questi calcoli almeno un milione furono i morti in tutta l'America settentrionale e centrale, oltre 300mila in America latina, più di due milioni in Europa, oltre quindici milioni in Asia, quasi un milione in Oceania, un milione e trecentomila circa in Africa. Le ricerche moderne hanno consentito di ricalcolare il numero dei morti: si parla di una cifra complessiva compresa tra 24,7 e 39,3 milioni di individui (dati riferiti alla sola ondata autunnale) e più recentemente di cinquanta, cento milioni di decessi in tutto il mondo. Certamente la "spagnola" fece più vittime della Prima guerra mondiale che ne causò circa quindici milioni e delle altre pandemie di influenza della storia ("asiatica" del 1957: due, due milioni e mezzo; "cinese" del 1968: un milione). Da questo punto di vista fu la più terrificante epidemia della storia dell'uomo, condividendo il triste primato con la "peste nera" del 1300 che fu invece davvero disastrosa in Valle d'Aosta, che venne poi colpita dalla peste manzoniana (perché citata nei "Promessi Sposi") del 1630. Questa memoria collettiva e in certi casi familiare pesa sui nostri comportamenti e non a caso certi timori odierni si tingono di irrazionalità e persino di eccessi e anche - fatemelo scrivere - da notizie inutilmente diffuse dalle autorità, com'è il caso della bimba cinese sospettata a Champoluc di essere contagiata dal nuovo virus. Meglio tacere sino a diagnosi certa per evitare psicosi. In questo siamo così fragilmente umani oggi come lo eravamo nel passato più remoto, spesso senza tenere conto - e lo si vede per fortuna dagli scienziati di tutto il mondo che lavorano su questo virus - di come a cambiare le cose ci sia - vivaddio! - la ricerca evolutasi nel tempo in questa guerra contro le epidemie e questo dovrebbe darci maggior serenità.