Sono stato sveglio ieri sera per capire cosa avvenisse con le elezioni in Emilia-Romagna, poi - dopo un sonno ristoratore - mi sono svegliato all'alba, come mia abitudine, per capire se e quanto quelle previsioni notturne collimassero con la realtà dello scrutinio vero e proprio. Scrivo dando per scontato che i miei lettori sappiano l'esito: in soldoni con il voto di emiliani e romagnoli ha vinto la continuità di una delle Regioni "rosse" per definizione. Questo successo del centrosinistra ha il volto del presidente della Regione uscente, Stefano Bonaccini con il suo distacco largo ed inaspettato rispetto alla candidata leghista del centrodestra, Lucia Borgonzoni. A caldo provo, un po' goffamente, ad articolare qualche pensiero derivante da questi risultati - Calabria compresa, dove il centrodestra ha dilagato - che pesano sull'Italia intera, ma con qualche distinguo.
Il test ha, per chiunque non si nasconda dietro un dito, una valenza nazionale, poche balle, e può piacere o meno, ma fanno peggio le mistificazioni ed i raggiri. Bisogna avere il coraggio - sempre! - di dire "pane al pane e vino al vino". Esercizio di verità che in Italia sfugge nel nome della furberia del distinguo e di risultati che troppo spesso ed inspiegabilmente non vedono vincenti e perdenti. Dunque, dunque: nella Regione che fu più rossa di tutte, comunista sino al midollo, cresciuta a Mortadella, Parmigiano, Lambrusco, "falce & martello", fra sezioni del PCI di paese alla Peppone (e Don Camillo) con "Feste dell'Unita" popolari e memorabili, appare chiaro come non sia piaciuto quell'insieme di drammatizzazione scelto da Matteo Salvini, che sino ad oggi gli aveva permesso un crescendo inarrestabile. La scelta degli elettori, che ha visto anche l'influenza delle famose "sardine" su di una parte di elettorato più giovane, valorizza da una parte l'esperienza politica ed amministrativa come elemento rassicurante e dall'altra mostra i limiti - esplicitati dalla batosta presa dai "pentastellati" - degli eccessi di una politica spettacolo sempre all'attacco, in una fibrillazione continua che accentua scontri e appicca fuochi. Dopo un po' gli elettori reclamano situazioni più tranquille e la soluzione concreta dei problemi rispetto a scontri ideologici che stressano. La normalità, insomma, che significa un confronto politico più sereno ed anche la valorizzazione dei territori e della loro differenza, che vuol dire che la democrazia locale non può diventare terreno di scontro per quel che avviene a Roma. Chissà se il Partito Democratico lo capirà o se questa uscita dal tunnel dalle sconfitte li porterà a sottostimare la profonda incapacità dimostrata dal Governo Conte, perché l'attuale Presidente del Consiglio è fra gli sconfitti e non fra i vincitori, essendo stato scelto dal precedente Governo giallo-verde e solo nel caos italiano può sentirsi «uomo nuovo». Vedremo ora gli eventi nello scenario difficile della politica romana ed esiste anche il caso valdostano, che deve avere una sua storia, perché la dimensione politica locale la si deve giocare - questa la lezione dell'Emilia-Romagna - sapendo che la politica di prossimità non si alimenta con temi scottanti della politica nazionale e con eccessi verbali e campagne elettorali sempre all'attacco e con quello stile demagogico che ha fatto crollare i "grillini", ma con la concretezza dei temi che accompagnano la vita delle persone nella loro quotidianità. Avremo di certo modo di capirne di più nei giorni a venire e di sicuro Salvini rifletterà, ma con la consapevolezza che il suo risultato, pur sconfitto, resta significativo in una Regione come l'Emilia-Romagna, mentre i dirigenti del PD farebbero bene a guardare anche alla Calabria e le prossime elezioni regionali saranno il girone di ritorno in Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Veneto. E - speriamo - che in Valle siano elezioni anticipate a farci uscire dallo stallo.