Ad Hammamet, per i vent'anni dalla morte di Bettino Craxi, ci sono state celebrazioni nostalgiche del leader socialista ed in Italia anche esponenti politici inaspettati hanno corretto il tiro rispetto ai giudizi del passato. L'Italia è uno strano Paese, che dimentica in fretta, ma che soprattutto non ha il senso della misura e l'opinione pubblica su Craxi ha avuto atteggiamenti feroci per poi, con il tempo, edulcorare i giudizi ed alcuni si sono spinti sino a riabilitarlo con sospetti salti della quaglia. Manca troppo spesso, nel cuore degli avvenimenti, quella oggettività che evita di farsi trascinare dalle emozioni e dalla rabbia e Craxi, anche per la sua fuga in Tunisia (oggi chiamata esilio), fu vittima di eccessi in quella "Tangentopoli" che vide la Magistratura lancia in resta con la conseguente frantumazione della famosa partitocrazia. Ma quel sistema consolidato di tangenti ad alimentare partiti, correnti e conti personali agevolò la nascita della Seconda Repubblica (con Silvio Berlusconi protagonista, che craxiano lo fu per grazia ricevuta per le sue televisioni), ma purtroppo - e dovremmo essere ormai nella Terza Repubblica... - certi comportamenti esistono ancora e resta, in particolare, una situazione oscura sul finanziamento dei partiti. Usciti dalle prebende pubbliche, con costi sempre esistenti per il funzionamento delle macchine, ci si chiede come facciano i tesorieri a far quadrare i conti, specie con campagne elettorali che dissanguano.
Ho spesso ricordato che, quando entrai alla Camera nel 1987, non si respirava ancora aria di smobilitazione del sistema dei partiti come forgiato nel dopoguerra, mentre il clima di cambiamento, con conseguente tracollo, emerse con chiarezza all'inizio del decennio successivo. Bettino Craxi, che pure avevo visto in occasioni ufficiali ed in particolar modo alle sedute parlamentari, lo incontrammo, con il senatore Cesare Dujany, nella primavera del 1992, quando per la formazione del Governo Amato il voto valdostano a Palazzo Madama era importante. Fu per me il primo e anche l'unico faccia a faccia. In via del Corso, nella storica sede del Partito Socialista Italiano, restammo parecchio tempo con Craxi e Giuliano Amato in questi locali che trasudavano di vissuto con una serie di ritratti di Giuseppe Garibaldi alle pareti, di cui ci parlava, così come della sua fede granata. Ancora oggi mi domando cosa spinse il leader socialista a dedicarci molto tempo: certo aveva bisogno del nostro sostegno politico, ma ho l'impressione che quella lunga chiacchierata seduti in poltrona fosse per lui una specie di sfogo con due interlocutori strani, uno giovane ed uno anziano, con cui condivise un sacco di argomenti. Aveva ben chiare le origini dell'Autonomia valdostana e dimostrava un suo interesse per il regionalismo. Ricordo con divertimento quando scoprì del ritorno di Bruno Milanesio al vertice del "Psi" valdostano, che veniva indicato come uno dei colpevoli della manovra politica che aveva messo l'Union Valdôtaine all'opposizione. Non so se fingesse stupore, ma fatto sta che, seduta stante, fece una telefonata aggressiva a Giusi La Ganga, responsabile dei rapporti con Regioni ed Enti locali, e gliene cantò quattro. Carismatico lo era eccome! Era il suo un argomentare arguto, con lunghe pause e soprattutto - circostanza che mi stupì - larghi sorrisi in questo suo affabulare. Ma il giudizio storico resta: il sistema corruttivo esisteva e Craxi lo conosceva e ne era compartecipe, ma fu di fatto l'unico leader a pagare. Io c'ero nell'aula di Montecitorio il 3 luglio del 1992, quando - a poche settimane da quell'incontro riservato - intervenne - con il suo ultimo discorso importante nella sua lunga carriera politica - l'allora segretario socialista Bettino Craxi. Craxi era on quel momento un uomo in bilico in quei giorni: "Tangentopoli" si allargava come una macchia d'olio e lui, il "Cinghialone" (come lo aveva chiamato Giampaolo Pansa, scomparso giorni fa, che pure nasceva socialista) era un uomo braccato. Il capro espiatorio ideale per la sua antipatia e le sue asprezze, che in quel tête à tête non colsi, ma vedevo bene nella sua immagine pubblica. Capii fossero, pur nel suo modo ruvido di fare, le ragioni per cui aveva affascinato e soprattutto inciso nella politica, pur avendo percentuali basse di voti. Diventare "ago della bilancia" è un'arte allora come oggi. Dicevo del discorso alla Camera a due passi da me (io ero all'ultima fila al centro dell'emiciclo, lui nella fetta vicino a destra più in basso), avvenuto in un silenzio tombale, quello che a Montecitorio accompagna i discorsi del leader. Pure la Lega, che aveva per la prima volta avuto un successo elettorale, non fece gazzarra più di tanto di fronte a questo omone che leggeva un discorso che suonava come una campana a morto per la partitocrazia della Repubblica e che pare non essere sufficiente ad ammonire nessuno per quello che poi è successo in anni più recenti. «Ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento ai partiti e al sistema politico è irregolare o illegale». Così disse e aggiunse più avanti: «se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale». Qui, ricordo, che la Lega applaudì. E poi Craxi affondò il colpo «nessun responsabile politico di organizzazioni importanti potrebbe alzarsi a giurare di non aver mai fatto ricorso a simili finanziamenti. Presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro». Parole dure, che mi colpirono. Anche se, oggi come allora, resto convinto che solo l'onestà personale ti consente, in politica, di mantenere la tua libertà. Altrimenti, prima o poi, «i nodi vengono al pettine». Può essere che certa nostalgia oggi dedicata a Craxi derivi anche dalla mediocrità di certi protagonisti attuali della politica italiana, dei veri nani che si credono giganti.