Oggi vorrei evocare questo benedetto Natale in modo semplice, come dovrebbe essere, spogliando tutto dagli orpelli retorici e dagli eccessi consumistici. Vorrei che vivessimo il momento, così fuggevole, con gli occhi di un bambino e con la sua capacità di stupirsi. Lo stupore passa attraverso i tanti simboli sovrapposti dentro il Natale: la natalità come momento di gioia anche nei momenti più cupi come avviene nella capanna di Betlemme in una festosità corale; la luminosità della stella cometa, che si ritrova nel vischio e nelle luci ornamentali nei giorni in cui le notti sono più lunghe; la gioia di offrire e di ricevere doni come esempio di socialità; la divisione del cibo con parenti e amici come esempio di comunione.
Ci vorrebbe, come in un lavacro da spirito natalizio che cancelli troppe incrostazioni accumulatesi durante l'anno, il necessario candore, che non è solo bianchezza immacolata e splendente (spesso in quanto desta meraviglia ed ammirazione), ma purezza, innocenza, ingenuità. Viene in mente un verso del poeta Giuseppe Ungaretti: «Per un Iddio che rida come un bimbo». E certo viene a mente proprio lui, il Bambinello, come simbolo universale, che si contrappone tra pochi mesi - e mi ha sempre fatto impressione - alla drammatica immagine della crocifissione. E viene in mente anche, in questi tempi grami per la vita pubblica, quel termine "candidatus", cioè vestito con la toga candida, propria di chi nell'antica Roma aspirava ad una carica. Anche questo può essere evocato come un dei doni da ricevere a Natale, dopo un anno difficile nella piccola Valle d'Aosta in cui è cresciuto un profondo abisso da colmare in fretta fra Cittadini ed Istituzioni.