Grande curiosità ha creato in queste ore il video, diffuso sul Web, che mostra il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni mentre, con altri commissari del gruppo dei socialisti e democratici europei, canta "Bella ciao" in Parlamento. Oltre a Gentiloni, ad intonare il famoso brano, considerato e vedremo se a torto o a ragione, emblema della lotta partigiana e della Resistenza in Italia, c'erano i vicepresidenti Frans Timmermans e Maros Sefcovic, Nicolas Schmit, commissario al Lavoro, Jutta Urpilainen, commissaria ai Partenariati internazionali, Helena Dalli, commissaria all'Uguaglianza, ed Elisa Ferreira, commissaria alla Coesione e alle Riforme. Non c'è occasione di vario genere e anche nei diversi Continenti in cui "Bella ciao" venga intonata per la sua musicalità e il valore simbolico che incarna. Per altro, cantanti di tutto il mondo l'hanno ripresa, allargando la sua popolarità, e pochi mesi fa in Spagna ed in Francia due versioni diverse "modernizzate" sono finite nelle "Hit Parade".
Ma proprio questa estate mi aveva incuriosito - e riprendo cosa scrissi allora - un articolo di Luigi Morrone sul "Corriere della Sera" che raffredda gli animi sull'origine partigiana del brano e della celebre musica: «Gianpaolo Pansa: "Bella ciao. E' una canzone che non è mai stata dei partigiani, come molti credono, però molto popolare". Giorgio Bocca: "Bella ciao... canzone della Resistenza e Giovinezza... canzone del ventennio fascista... Né l'una né l'altra nate dai partigiani o dai fascisti, l'una presa in prestito da un canto dalmata, l'altra dalla goliardia toscana e negli anni diventate gli inni ufficiali o di fatto dell'Italia antifascista e di quella del regime mussoliniano... Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare "Bella ciao", è stata un'invenzione del "Festival di Spoleto". La voce "ufficiale" e quella "revisionista" della storiografia divulgativa sulla Resistenza si trovano concordi nel riconoscere che "Bella ciao" non fu mai cantata dai partigiani. Ma qual è la verità? "Bella ciao" fu cantata durante la guerra civile? E' un prodotto della letteratura della Resistenza o sulla Resistenza, secondo la distinzione a suo tempo operata da Mario Saccenti? In "Tre uomini in una barca: (per tacer del cane)" di Jerome K. Jerome c'è un gustoso episodio: durante una gita in barca, tre amici si fermano ad un bar, alle cui parete era appesa una teca con una bella trota che pareva imbalsamata. Ogni avventore che entra, racconta ai tre forestieri di aver pescato lui la trota, condendo con mille particolari il racconto della pesca. Alla fine dell'episodio, la teca cade e la trota va in mille pezzi. Era di gesso. Situazione più o meno simile leggendo le varie ricostruzioni della storia di quello che viene presentato come l'inno dei partigiani. Ogni "testimone oculare" ne racconta una diversa. Lo cantavano i partigiani della Val d'Ossola, anzi no, quelli delle Langhe, oppure no, quelli dell'Emilia, oppure no, quelli della Brigata Maiella. Fu presentata nel 1947 a Praga in occasione della rassegna "Canzoni Mondiali per la Gioventù e per la Pace". E così via. Ed anche sulla storia dell'inno se ne presenta ogni volta una versione diversa. Negli anni 60 del secolo scorso, fu avvalorata l'ipotesi che si trattasse di un canto delle mondine di inizio ventesimo secolo, a cui "I partigiani" avrebbero cambiato le parole. In effetti, una versione "mondina" di "Bella ciao" esiste, ma quella versione, come vedremo, fa parte dei racconti dei pescatori presunti della trota di Jerome. Andiamo con ordine. Già sulla melodia, se ne sentono di tutti i colori. E' una melodia genovese, no, anzi, una villanella del 500, anzi no, una nenia veneta, anzi no, una canzone popolare dalmata... Tanto che Carlo Pestellisostiene: "Bella ciao è una canzone gomitolo in cui si intrecciano molti fili di vario colore"». Trovo suggestiva e utile questa definizione, che mostra come la tradizione si abbeveri di diverse fonti e alla fine la vera storia viene travolta dal «si dice» che si conficca nella mente come un chiodo. Ma ecco come l'articolo entra nel vivo: «Sul punto, l'unica certezza è che la traccia più antica di una incisione della melodia in questione è del 1919, in un "78 giri" del fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff, intitolato "Klezmer-Yiddish swing music". Il "Kezmer" è un genere musicale Yiddish in cui confluiscono vari elementi, tra cui la musica popolare slava, perciò l'ipotesi più probabile sull'origine della melodia sia proprio quella della canzone popolare dalmata, come pensa Bocca. Vediamo, invece, il testo "partigiano". Quando comparve la prima volta? Qui s'innestano i racconti "orali" che richiamano alla mente la trota di Jerome. Ognuno la racconta a modo suo. La voce "Bella ciao" su "Wikipedia" contiene una lunga interlocuzione in cui si racconta di una "scoperta" documentale nell'archivio storico del "Canzoniere della Lame" che proverebbe la circolazione della canzone tra i partigiani fra l'Appennino Bolognese e l'Appennino Modenese, ma i supervisori dell'enciclopedia online sono stati costretti a sottolineare il passo perché privo di fonte. Non è privo di fonte, è semplicemente falso: nell'archivio citato da "Wikipedia" non vi è alcuna traccia documentale di "Bella ciao" quale canto partigiano. Al fine di colmare la lacuna dell'assenza di prove documentali, per retrodatare l'apparizione della canzone partigiana, molti richiamano la "tradizione orale", che - però - specie se di anni posteriore ai fatti, è la più fallace che possa esistere. Se si va sul Loch Ness, c'è ancora qualcuno che giura di aver visto il "mostro" passeggiare sul lago... Viceversa, non vi è alcuna fonte documentale che attesti che "Bella ciao" sia stata mai cantata dai partigiani durante la guerra. Anzi, vi sono indizi gravi, precisi e concordanti che portano ad escludere tale ipotesi». Segue una minuziosa ricostruzione delle diverse e possibili fonti documentali che potrebbero attestare il contrario e invece confermano l'idea che si tratti - come dire? - di un mito aggiunto nel dopoguerra. Insomma, la conclusione è chiara: «Come si è detto, sul piano documentale, non si ha "traccia" di "Bella ciao" prima del 1953, momento in cui risulta comunque piuttosto diffusa, visto che da un servizio di Riccardo Longone apparso nella terza pagina dell'Unità del 29 aprile 1953, apprendiamo che all'epoca la canzone è conosciuta in Cina ed in Corea. La incide anche Yves Montand, ma la fortuna arriderà più tardi a questa canzone oggi conosciuta come inno partigiano per antonomasia. Come dice Bocca, sarà il "Festival di Spoleto" a consacrarla. Nel 1964, il "Nuovo Canzoniere Italiano" la presenta al "Festival dei Due Mondi" come canto partigiano all'interno dello spettacolo omonimo e presenta Giovanna Daffini, una musicista ex mondina, che canta una versione di "Bella ciao" che descrive una giornata di lavoro delle mondine, sostenendo che è quella la versione "originale" del canto, cui durante la resistenza sarebbero state cambiate le parole adattandole alla lotta partigiana. Le due versioni del canto aprono e chiudono lo spettacolo. La Daffini aveva presentato la versione "mondina" di "Bella ciao" nel 1962 a Gianni Bosio e Roberto Leydi, dichiarando di averla sentita dalle mondine emiliane che andavano a lavorare nel vercellese, ed il "Nuovo Canzoniere Italiano" aveva dato credito a questa versione dei fatti. Sennonché, nel maggio 1965, un tale Vasco Scansiani scrive una lettera all'Unità in cui rivendica la paternità delle parole cantate dalla Daffini, sostenendo di avere scritto lui la versione "mondina" del canto e di averlo consegnato alla Daffini (sua concittadina di Gualtieri) nel 1951. L'Unità, pressata da Gianni Bosio, non pubblica quella lettera, ma si hanno notizie di un "confronto" tra la Daffini e Scansiani in cui la ex mondina avrebbe ammesso di aver ricevuto i versi dal concittadino. Da questo intreccio, parrebbe che la versione "partigiana" avrebbe preceduto quella "mondina". Nel 1974, salta fuori un altro presunto autore del canto, un ex carabiniere toscano, Rinaldo Salvatori, che in una lettera alle "Edizioni del Gallo", racconta di averla scritta per una mondina negli anni 30, ma di non averla potuta depositare alla "Siae" perché diffidato dalla censura fascista. La contraddittorietà delle testimonianze, l'assenza di fonti documentali prima del 1953, rendono davvero improbabile che il canto fosse intonato durante la guerra civile. Cesare Bermani sostiene che il canto fosse "poco diffuso" durante la Resistenza, onde, rifacendosi ad Eric Hobsbawm, assume che nell'immaginario collettivo "Bella ciao" sia diventata l'inno della Resistenza mediante l'invenzione di una tradizione. Sta di fatto che lo stesso Bermani, oltre ad avvalorare l'inattendibile ipotesi che fosse l'inno della Brigata Maiella, da un lato, riconosce che, prima del successo dello spettacolo al Festival di Spoleto "si riteneva, non avendo avuto questo canto una particolare diffusione al Nord durante la Resistenza, che fosse sorto nell'immediato dopoguerra", dall'altro, però, raccoglie svariate testimonianze che attesterebbero una sua larga diffusione durante la guerra civile, smentendo di fatto sé stesso». Salto qualche passaggio e vado dritto alle conclusioni inoppugnabili: «Ritornando al punto di partenza, come sostengono Bocca e Panza, "Bella ciao" non fu mai cantata dai partigiani. Ma il mito di "Bella ciao" come "canto partigiano" è così radicato, da far accompagnare il funerale di Giorgio Bocca proprio con quel canto che egli stesso diceva di non aver mai cantato né sentito cantare durante la lotta partigiana. Perché "Bella ciao", nonostante tutto, è diventata il simbolo della Resistenza, superando sin da subito i confini nazionali? Perché ha attecchito questa "invenzione della tradizione"? Qualcuno ha sostenuto che il successo di "Bella ciao" deriverebbe dal fatto che non è "targata", come potrebbe essere "Fischia il vento", il cui rosso "Sol dell'Avvenir" rende il canto di chiara marca comunista. "Bella ciao", invece, abbraccerebbe tutte le "facce" della Resistenza (Guerra patriottica di liberazione dall'esercito tedesco invasore; guerra civile contro la dittatura fascista; guerra di classe per l'emancipazione sociale), come individuate da Claudio Pavone. Ma, probabilmente, ha ragione Gianpaolo Pansa: "("Bella ciao") viene esibita di continuo ogni 25 aprile. Anche a me piace, con quel motivo musicale agile e allegro, che invita a cantarla". Il successo di "Bella ciao" come "inno" di una guerra durante la quale non fu mai cantata, plausibilmente, deriva dalla orecchiabilità del motivo, dalla facilità di memorizzazione del testo, dalla "trovata" del "Nuovo Canzoniere" di introdurre il battimani. Insomma, dalla sua immediata fruibilità». Mi sembra una giusta osservazione e vale dunque la pena di dire che "Bella ciao" la canto ancora volentieri, pur sapendo che la sua origine non ha nulla a che fare con la lotta partigiana, ma ne incarna in qualche modo lo spirito e ha finito per essere un inno "progressista", che spazia dal centro sino perfino alla Sinistra antagonista. Quando ero ragazzo la cantavamo tutti perché non era una bandiera ma un patrimonio comune.