Qualche ragionamento ci obbliga a farlo la vicenda concatenata, prima del crollo del tristemente noto "Ponte Morandi" a Genova e poi del pezzo distrutto, perché travolto da una frana, di un viadotto autostradale sulla "Torino - Savona" lungo il vecchio percorso del 1960. Sono passato da questi itinerari, specie lungo il secondo per andare al mare, miriadi di volte e specie sulla "A6" mi domandavo, percorrendola ancora di recente in salita dalla Liguria sul vecchio percorso un tempo ad una carreggiata unica (la discesa da Ceva è stata raddoppiata nel 2001), come diavolo si potesse mantenere in esercizio quella sorta di gimcana infernale, figlia di un'epoca ormai passata. Spostiamo la nostra attenzione. Se non ci fosse stato un progresso nelle vie di comunicazione useremmo ancora in Valle d'Aosta la "Strada romana delle Gallie". La direttrice attraversava il territorio valdostano giungendo da Eporedia (Ivrea) sino ad Augusta Prætoria (Aosta), per poi biforcarsi in direzione del colle dell'Alpis Graia (Piccolo San Bernardo) e dell'Alpis Pœnina (Gran San Bernardo).
Invece - scusate l'ovvietà - con il passare dei secoli e con il mutare anche dei mezzi di trasporto le strade sono cambiate e soprattutto nel secolo scorso, con la motorizzazione, ci fu lo scatto che ha portato alle strade carrozzabili a quelle sempre più moderne per gli autoveicoli. L'ultima tappa sono state le autostrade, arrivate in Valle proprio nella seconda metà del Novecento. La "Sav SpA - Società autostrade valdostane" che è la concessionaria - con un primo atto risalente al 1963 - dell'autostrada "A5 Quincinetto - Aosta" e di parte del sistema tangenziale di Aosta (compresa quella galleria verso il Gran San Bernardo che ha reso problematici i bilanci). Chi decide è un privato: il "Gruppo Gavio", azionista di maggioranza. Scadenza della concessione, mai soggetta a gara (per l'ultima volta ha precisato la Commissione europea), è il 2032. Stessa data di scadenza per la "Rav SpA - Raccordo autostradale Valle d'Aosta" - nata con lo scopo di progettare, realizzare e gestire il raccordo autostradale fra la città di Aosta ed il Traforo del Monte Bianco (aperto nel 1965) con una concessione ufficializzata nel 1988. Chi decide è il "Gruppo Benetton", che è socio di maggioranza avendo acquisito dal pubblico - con la privatizzazione di "Autostrade" - il controllo del Traforo del Monte Bianco, che ha partecipato alla nascita di "Rav". Mentre quest'ultima, quasi tutta in galleria, ha fruito del grande sviluppo tecnologico ed è, per così dire, un'autostrada di ultima generazione, la prima - quella degli anni Sessanta - è figlia del suo tempo e dei limiti dell'ingegneria dell'epoca se rapportati all'oggi. Entrambe - lo ricordo incidentalmente - sono oggetto di quella situazione di duopolio di gruppi privati (la Regione, pur socia di minoranza, non conta) che ha portato a tariffe troppo elevate e le vicende di cui ho parlato all'inizio hanno giustamente acceso i fari sui rischi che mancati controlli e sul fatto che la capacità di influenza di privati così potenti non solo valga per influenzare gli aumenti dei pedaggi e la scansione dei lavori previsti dai piani di concessione, ma anche cagioni una scarsa attenzione - per una sorta di rendita di posizione e capacità di relazioni - ad obblighi di controllo sulla sicurezza dei percorsi. Cosa c'entra il territorio valdostano? Percorriamo insieme la "Quincinetto - Aosta" e proprio i primi chilometri mettono in luce quella scelta avvenuta con le progettazioni di sessant'anni fa di passare attraverso la ormai celebre "area Chiappetti" sotto la minacciante montagna, che culmina con la Cima di Bonze. Oggi, con le perizie geologiche, non lo si sarebbe fatto, ma questo è già il primo problema del vecchio tracciato, che poi da lì sino a la "Monjovetta" occupa quasi sempre il centro valle, spezzando in due il fondovalle. In anni successivi si sarebbe scelto di certo di più, come in alta Valle con la nuova autostrada, una presenza meno impattante e difficilmente si sarebbe scelto di bucare sotto la "Monjovetta" stessa, finendo poi in quella gola fra Saint-Vincent e Montjovet (zona del "Ponte delle capre") che non è certo l'ideale anche per la mappatura geologica. Per non dire della scelta del lungo viadotto che dalle gallerie finisce proprio a Châtillon con costi manutentivi che diventeranno sempre più grandi con il passare degli anni. L'autostrada poi sino ad Aosta torna ad occupare parte del fondovalle con medesime logiche costruttive già segnalate e spicca, a mio avviso, quella uscita "Aosta Centro" che studiai ai tempi della mia Presidenza con un comodo parcheggio di attestamento per chi volesse visitare Aosta. Questo per dire che questo tracciato autostradale, rimasta per evidenze costruttive a due corsie, ha aspetti di fragilità e di obsolescenza, cui si sta in parte reagendo con ammodernamento di gallerie ormai fuori standard di sicurezza e con il cambio con tempi infiniti dei vecchi guardrail. Si può far finta di niente o profittare per nuovi orizzonti di questo periodo di passaggio in cui si ridiscutono le convenzioni, tariffe comprese, e forse si va verso un nuovo impegno dello Stato dopo l'abdicazione, dimostratasi inefficace, a vantaggio della rendita di posizione di soggetti dominanti. Questo vuol dire, comunque, avere delle idee, che nel caso della "Monjovetta" riguardano anche la possibile elettrificazione della ferrovia, che dovrà tenere conto dell'incompatibile sistema di gallerie ottocentesche quando il treno era a vapore. Sarebbe un progetto sensato per uscire da logiche che guardano solo alla distanza del proprio naso.