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07 ott 2019

"La Stampa" in sciopero e il destino dei giornali

di Luciano Caveri

La carta stampata resta la carta stampata. Malgrado l'assalto del digitale, almeno per me il gusto di leggere il giornale cartaceo resta intatto. Poi è vero - per non essere ipocrita - che, svegliandomi molto presto, in genere leggo i giornali ancora nel letto sul mio telefonino (finché la vista regge...). Ma non è certo la stessa cosa rispetto al rito dello sfogliare, del ritornarci sopra, di posare e riaprire il giornale, che è in fondo un gusto antico. Leggo poi nel corso di una giornata tutto il leggibile, spiluccando dai diversi giornali anche attraverso certe rassegne stampa, e devo dire che mi stupisco che ci siano persone che leggono dei giornali che sono schierati e non coltivo, perché non sono così ingenuo, il mito della totale indipendenza delle testate, ma ci sono limiti che rendono il giornalismo grottesco. Invece resto dell'idea con Enzo Biagi: «Considero il giornale un servizio pubblico come i trasporti pubblici e l'acquedotto. Non manderò nelle vostre case acqua inquinata».

E' vero che poi dipende dall'etica del singolo, come ricorda in modo cristallino Oriana Fallaci: «Ogni persona libera, ogni giornalista libero, deve essere pronto a riconoscere la verità ovunque essa sia. E se non lo fa è, (nell'ordine: un imbecille, un disonesto, un fanatico). Il fanatismo è il primo nemico della libertà di pensiero. E a questo credo io mi piegherò sempre, per questo credo io pagherò sempre: ignorando orgogliosamente chi non capisce o chi per i suoi interessi e le sue ideologie finge di non capire». Pur essendo un giornalista radiotelevisivo per vocazione giovanile, mi piaceva e mi piace anche la scrittura. Credo che lo dimostri l'affezione quotidiana in questo mio blog, che ha da molti anni una cadenza giornaliera che molti apprezzano, e penso che considerino anche lo sforzo sottostante. Ho avuto proprio sulla carta qualche esperienza: una breve collaborazione sul "Corriere della Valle", qualche pezzo da Aosta per il "Corriere della Sera", una lunga collaborazione per una rubrica sulla "Vallée" e poi parecchi articoli su "Le Peuple Valdôtain" ed altro ancora. In Valle la lettura dei giornali è sempre stata elevata e poneva i valdostani fra i lettori affezionati, ma ormai è un numero che declina da anni, seguendo un trend italiano, confermato più o meno dappertutto nel mondo. Ma le testate da noi tribolano per l'attrattività sempre più alta verso Web, con siti locali di informazione più tempestivi per ovvie ragioni e per una ricchezza di offerta a pagamento che ci porta subito varie proposte senza passare in edicola. E si aggiunge la riduzione - a rendere problematica le tenuta economica - delle inserzioni pubblicitarie che, con le vendite, alimentano le entrate per stare in piedi. In queste ore scioperano i colleghi de "La Stampa" e sono solidale con loro, conoscendo qui ad Aosta quasi tutti da anni ed apprezzando a fondo la loro professionalità e il loro impegno, reso complicato da organico sempre più striminzito. Il quotidiano torinese è ormai di fatto in mano al management del "Gruppo La Repubblica - Espresso" e questo deriva dalle scelte degli eredi Agnelli di un "Gruppo Fiat" che, con la logica del carciofo, ha piano piano abbandonato pezzi importanti in Italia, americanizzandosi. Così anche "La Busiarda", come si soprannominava scherzosamente "La Stampa", soffre di queste scelte ed oggi i giornalisti temono - ad esempio e per quel che ci riguarda come lettori valdostani - un continuo depauperamento nella presenza locale del quotidiano di Torino, specie su quelle pagine "provinciali", come si dice in gergo, fra le quali figura - anche se noi la Provincia non l'abbiamo - anche l'edizione valdostana che di fatto, tanti anni fa, prese il posto della redazione aostana della "Gazzetta del Popolo", giornale scomparso nel 1983. Sull'importanza di questo presidio di libertà d'informazione inutile dire e per questo credo che si debba seguire con attenzione che cosa capiterà. La solita preoccupazione, di questi tempi, può essere una scarsa considerazione della Valle, che potrebbe portare ad un impoverimento del patrimonio informativo. E' invece importante che i giornalisti locali, che conoscono il loro territorio e la nostra storia, possano avere la possibilità di scrivere, di raccontare e commentare fatti ed eventi che ci riguardano. Certo, la situazione è in piena evoluzione dappertutto, ma non sempre "piccolo è bello" per chi vede da fuori la taglia della nostra piccola Regione. Resta il fatto oggettivo che nuovi media si frammischiano ai vecchi e non sarà facile la transizione fra vecchio e nuovo e neppure prevederne l'evoluzione è agevole. Per quel che mi riguarda, però, rimango su di una linea ben espressa dal giornalista e scrittore Roberto Cotroneo: «Non ci sono mai state più informazioni, e probabilmente non ci sono mai state così tante informazioni di scarso valore. E' il paradosso in cui viviamo: è l'età d'oro del giornalismo, eppure c'è una cacofonia di rumori che probabilmente non è mai esistita prima. Alla domanda se le notizie siano sempre qualcosa che qualcuno non vuole vedere scritte, non sono necessariamente d'accordo, ma credo che quando si parla del vero valore delle notizie, vogliamo che il giornalismo prosperi, per una società libera e aperta. La sfida non è solo come le "media company" possono fare soldi, ma come sopravviveranno a questo momento stravolgente per mantenere i contenuti di alta qualità che sono quelli che alcuni non vorrebbero che siano diffusi e raccontati. Questo serve alla società: serve un "watchdog", un cane da guardia che spiega e rivela temi che alcuni vorrebbero nascondere: crimini, indagini, scandali. Questo deve coesistere col mondo delle chiacchiere».