Il punto di partenza è così riassunto nel libro "Paysans des Alpes" di Nicolas Carrier e Fabrice Mouthon: «C'est au Moyen Age que les Alpes ont été humanisées en profondeur, par l'action conjointe des seigneurs, des moines et surtout d'une paysannerie laborieuse. C'est alors que sont nés les villages alpins et que l'économie montagnarde traditionnelle a acquis ses principaux caractères. Les communautés paysannes des Alpes ont été d'abord des associations informelles de familles, de voisins et d'usagers d'alpages dont l'origine se perd dans la nuit des temps». Così sulla scena valdostana - con un primo documento che cita l'alpeggio di Gressoney ben ottocento anni fa . arrivano in questo solco i Walser, anche se per avere un documento con scritto "walser" bisognerà attendere un secolo dopo. Questo popolo di stirpe germanica colonizza a partire dal Medioevo le vallate attorno al Monte Rosa e altre zone dell'Arco alpino in modo diffuso.
Credo che questa presenza nella Valle del Lys (ma si hanno tracce anche in Val d'Ayas e nella zona alta del Comune di Bionaz), nei tre Comuni di Gressoney-La-Trinité, Gressoney-Saint-Jean ed Issime, sia un fiore all'occhiello e sto collaborando con chi, mettendo assieme le diverse comunità, vorrebbe il riconoscimento di questa piccola minoranza come "Patrimonio dell'umanità Unesco". Ho avuto il piacere di parlare in occasione dell'anniversario secolare così significativo. Mi veniva in mente quella frase di Marco Aime, che dice: «Ogni comunità o società fonda una propria geografia culturale, basata sulla memoria». Ed è bello che ciò avvenga a difesa anche di due parole nobili, che se usate a sproposito diventano come parolacce, vale a dire "comunità" ed "identità". Nel caso dei Walser questo significa, con fatica vista la piccolezza dei numeri e l'aggressività del mondo globalizzato, essere eredi di un mondo antico, che parte probabilmente da uno sfruttamento stagionale degli alpeggi e poi da scelte stanziali e dal meccanismo distributivo sul territorio di nuove famiglie sino a formare i veri e propri centri abitati. Tutto questo attraverso i secoli con i cambiamenti conseguenti. E questo significa, come ha scritto sul bene comune Salvatore Settis, che esistono diverse velocità di cui tenere conto: «In questa enorme differenza di durata e di respiro fra la vita del singolo e quella della comunità risiede il dramma perpetuo del rapporto fra l'uomo e il mondo; e la vita sociale di una comunità umana, col suo decorso lunghissimo, somiglia più alla lunga durata dei mutamenti naturali che al ritmo breve di una singola esistenza». Per altro negli ottocento anni di storia queste comunità alpine hanno, come le altre popolazioni delle alte quote, vissuto quella fisarmonica dei cambiamenti climatici, di cui hanno approfittato in positivo (l'optimum climatico medioevale) e patito in negativo quando tornò il freddo, e di questi cambi i grandi ghiacciai del Monte Rosa - oggi sofferenti e bisogna preoccuparsi - sono stati vere e proprie sentinelle. Personalmente sono l'autore di quella norma che ha "costituzionalizzato" i Walser valdostani nello Statuto d'Autonomia, prevenendo poi una conseguente normativa regionale e tutti i Walser - compresi quelli in Piemonte - sono stati riconosciuti in seguito nella legge quadro nazionale sulle minoranze storiche (in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione), di cui sono uno dei papà. Ho esortato la comunità a sfruttare la massimo le potenzialità di quelle norme, perché - nel solco del pensiero di Montesquieu - «Sotto la legge, libertà». So che non è facile vivere nella modernità, cavalcare un mondo globalizzato e pensare in contemporanea a mantenere usi e costumi non solo in una logica folkloristica. E' in fondo una sfida che vale anche per la Valle d'Aosta tutta intera e non solo per i miei amici Walser. Non bisogna spaventarsi dei nuovi scenari e chiudersi a riccio, ma saper vivere nella modernità, affrontando tutte le novità che irrompono, sapendo di avere delle radici. Ne parlo da tanto tempo, da quando in politica mi sono trovato di fronte all'interessante tematica delle minoranze linguistiche sia in Parlamento, ma anche nell'esperienza europea e spesso mi è capitato anche di intervenire al "Consiglio d'Europa", che molto ha fatto a favore del diritto internazionale in materia, perché crogiolo di lingue e di popoli ancor più dell'Unione europea. Nel caso dei Walser quel percorso legislativo fu una specie di sfida a richieste dei "grandi vecchi", oggi scomparsi che erano numi tutelari della loro popolazione, come Eugenio Squindo, Vittorio De la Pierre, Alys Barrel, Heinrich Welf e Clément Alliod, che ci ha lasciato da poco. Per altro se io sono qui a scrivere lo devo al colpo di fulmine fra il mio bisnonno, Paolo Caveri, Sottoprefetto di Aosta ed una giovane di stirpe Walser Herminie Marie Antoinette De La Pierre, figlia del Procuratore del Re presso il Tribunale di Aosta. Anche la storia delle famiglie è un pozzo profondo.