«Studia, studia». Se ci si pensa per un attimo era questo, sin da bambini, un refrain compulsivo pronunciato da qualunque adulto si incontrasse ed a qualunque classe sociale, senza distinzioni, appartenesse. Non era solo un modo di dire, ma faceva parte di un filone positivista che sopravviveva al Novecento e che riteneva che la Pubblica istruzione fosse e restasse una strada maestra verso il progresso personale e dell'umanità. Esisteva questa consapevolezza, se non questa convinzione, dello studio come sicurezza per la vita e persino come riscatto ed ascensore sociale, senza nulla togliere alla dignità di ogni lavoro. Questa idea di un'etica dello studio era - così mi diceva mio papà - presentissima nella famiglia Caveri, dove la laurea era considerata un obbligo e non per apparenza o appartenenza, ma come chiave di volta per una propria conoscenza.
Io stesso - diventato giornalista professionista - mi sono poi laureato (e alla seconda mancherà per sempre la sola tesi...), perché sapevo che per mio papà era considerato un dovere e anche perché - per chissà quale forma di trasmissione - mi sentivo debole in assenza di una laurea, che ho conseguito con grande piacere, perché ti trovi ad approfondire materie che ami ed a studiarne anche che non sopporti, ma ti tocca e questo fa scuola più di mille materie. Ora, visto che il tempo passa, la laurea l'hanno presa entrambi i miei figli grandi e son certo che non si fermeranno a quella stranezza della laurea triennale, ma ci daranno dentro con la magistrale. Non so dire francamente quanto sia rimasta e quanto sia ormai fondata questa idea della laurea come scopo e sicurezza. Tante Università, una miriade di facoltà, persino Atenei on line hanno arricchito la proposta e talvolta vedo materie di insegnamento che mi lasciano perplesso. Resta da capire se l'idem sentire dello studio come valore sia rimasto o si insegua l'idea ingenua di mondo sportivi o dello spettacolo che consentano di essere un'alternativa, ammesso - lo ripeto per evitare equivoci - poi che si possa generalizzare rispetto a mondi che si sono evoluti. Per non dire della politica, dove persone senza arte né parte sono assurte a ruoli decisivamente superiori al loro curriculum ed alle loro conoscenze. Circostanza grave in epoca in cui il diritto allo studio può agire per chi dimostri doti e capacità, senza dovere - come capitava per qualcuno in passato - scegliere di essere autodidatti per l'impossibilità di seguire il percorso regolare di studio. Eppure l'abbandono scolastico colpisce ancora duro in Valle, restano pochi i laureati, l'impressione è che e persistano sacche di analfabetismo non solo di ritorno. Con il piccolo e decrescente numero di giovani sono occasioni da non perdere e l'istruzione e la formazione non finiscono con la scuola dell'obbligo e devono arricchirci ad ogni età. E così che si costruisce e si mantiene per altro la cittadinanza consapevole, che non obbliga a chissà quali livelli di preparazione, ma vale anche il rischio inverso di una democrazia che resta elemento misterioso per chi non ne conosca almeno i rudimenti. Certo, guardo con apprensione al passaggio dei miei figli verso il mondo del lavoro, reso ormai incerto e cangiante e, per la nostra Valle, con un numero impressionante bei giovani che sono "cervelli in fuga" non solo per scelta, ma spesso con necessità per le poche prospettive e un humus non stimolante per chi percorra idee professionali o imprenditoriali. So quanto il mugugno non serva, ma tocca riflettere per evitare che non ci sia solo il cambiamento climatico, ma anche il deserto intellettuale ed il vuoto occupazionale.