Parlare di fascismo e del suo fondatore, Benito Mussolini, non è mai facile in Italia, specie di questi tempi, in cui cresce l'ignoranza per la Storia, che è materia poco amata e dunque certi ammonimenti provenienti dal passato sembrano non servire. Esiste, di conseguenza, una macchina ben oliata, che mira ad una sorta di assurda riabilitazione postuma del fascismo a beneficio di nuove tentazioni totalitarie contemporanee. Ecco perché ci voleva questo romanzo storico non convenzionale scritto per la Bompiani da Antonio Scurati "M. Il figlio del secolo", che racconta della parabola ascendente (1919-1925) del Duce - uomo che emerge dal fango - raccontata con crudezza e con l'aiuto di periodiche note storiche che accompagnano il lettore per inquadrare meglio i diversi passaggi della sua vita piuttosto grama fino ai fasti degli anni Venti con l'incredibile compagnia di giro che lo affiancò a tour de rôle dagli esordi fino alla morte di Giacomo Matteotti ed all'affossamento della democrazia parlamentare. Scurati si occuperà della parabola discendente in due prossimi volumi.
Un quadro interessante perché non omissivo, che racconta senza nascondere nulla come emerse dal caos fra le due guerre questo uomo contraddittorio e a tratti squallido in un'Italia post bellica con gli "arditi" a sostenerlo. Seppe sfruttare la disperazione, le follie e le situazioni contingenti (spesso stando fermo, perché ci pensavano gli altri a sbagliare) ed ebbe un'evidente fortuna piena di casualità, che poi gli si rivoltò contro sulla distanza. Così emergono il Regime ed il Ventennio nascenti, di cui come italiani non ci si vergognerà mai abbastanza, malgrado l'insopportabile chiasso dei neofascisti di oggi e della loro evidente stupidità, cui si contrappone la medesima stupidità di chi pensa oggi che l'antifascismo siano moti di piazza facendo a botte con la polizia e distruggendo negozi. Scurati affonda la penna con efficacia sui demeriti di chi non solo aiutò nell'impresa lo stesso Mussolini ma di chi ne consentì la vittoria per manifesta incapacità di capire il momento storico. Per questo lo scrittore con coraggio elenca gli errori di tutte le opposizioni in quello scenario: chi nel campo liberale e pure cattolico pensò di "sfruttare" Mussolini, favorendo invece il suo disegno e chi a Sinistra, agitando la Rivoluzione "alla sovietica", spinse una larga maggioranza moderata spaventata legittimamente da infiniti scioperi e manifestazioni nelle mani dell'ambiguo e apparentemente rassicurante Mussolini, che da socialista divenne "uomo della Provvidenza", sfociando in dittatore liberticida e infine complice del nazismo in quel brodo di coltura della Destra sociale che ancora oggi schifosamente ribolle. Così come tornano agli esordi per affermarsi comportamenti come la violenza fatta regola, la lotta volgare contro la casta politica e il giornalismo libero, l'anti-parlamentarisno d'assalto per svilire la politica, la coltivazione e l'esasperazione delle paure, il disprezzo per la cultura e per gli intellettuali, l'uso della propaganda senza paura di mistificare la realtà e contare balle. La demagogia e il populismo sono una maledizione che avvolge in carta da regalo scatole vuote, come ampiamente dimostrato nei millenni ed il nazionalismo becero e giacobino genera solo dei mostri che portano a violenza e a guerre. Ovviamente il parallelo fra allora ed oggi deve avvenire nella testa di chi legge senza immaginare che in modo meccanico si possano traslare eventi e personalità per le ovvie differenze di contesto. Ma certi ammonimenti arrivano forti e chiari nel crescendo del romanzo che senza sconti e senza retorica racconta di questo Mussolini che avvince il popolo italiano e lo trascina nel baratro portandosi dietro Casa Savoia, complice e silente, e non esistono scuse o motivazioni che possano ancora oggi attenuare il giudizio storico, malgrado il lavoro incessante contro la Resistenza in atto dall'indomani dalla caduta del fascismo, quando con un colpo di bacchetta magica troppi fascisti nel profondo divennero antifascisti. Leggere nella testa di Mussolini, come fa abilmente Scurati descrivendo la vita da marginale persino pavido con buona pace di chi ancora oggi gioca con sue grottesche reliquie, serve appunto a capire come - per molte ragioni concomitanti in un periodo di crisi profonda - possano emergere personalità borderline che assecondano il desiderio insito nell'animo umano di cercare un Condottiero senza sapere distinguere bene chi lo fa sull'onda di doti umane e culturali davvero esistenti e di chi invece emerge dalla sua mediocrità, trovandosi in un ruolo che va al di là di ogni suoi capacità, profittando del conformismo e dell'attitudine italiana, l'acquiscenza a tenere per il vincitore del momento. Questo è Mussolini che incanta le folle, imitando l'oratoria di quel vero cialtrone che fu Gabriele D'Annunzio come efficacemente dipinto da Scurati, e si dimostra capace - nella nullità di una vita alquanto squallida - di recitare una parte che non fu commedia all'italiana ma tragedia per un Paese sino alla drammatica e catartica scena finale di Piazzale Loreto, di cui magari un giorno Scurati scriverà. Quando la folla acclamante dei giorni migliori diventa o meglio resta un popolino che così come esaltò il dittatore salvatore della Patria con folle oceaniche che lo seguirono ne fa alla fine a pezzi il corpo con crudeltà, appendendolo ad una pompa di benzina. Non sarà stata giustizia, essendo mancata all'Italia un salutare processo come a Norimberga, ma non si può non pensare alla fine drammatica di Giacomo Matteotti, la cui vita e morte - raccontate in modo puntuale da Scurati in un voluto contrappunto - sono state l'esatto opposto morale di quelle di "M.", raccontato con intelligenza da Scurati nell'incredibile scalata al successo del Duce, ma già cupa, lercia e foriera dei drammi che purtroppo seguirono.