Si gonfia come un clamoroso fenomeno mondiale la rievocazione di quel 20 luglio del 1969, quando l'uomo arrivò sulla Luna e nacque il verbo "allunaggio". Trovo che ci sia in questa scelta rievocativa di quell'impresa qualcosa in più di una celebrazione di una grande storia nel cammino dell'umanità, ma che sia una scelta pregna di un desiderio di riscatto in un momento assai complesso per il genere umano. E' infatti necessario ora più che mai concentrarci sul destino nel nostro pianeta, che proprio le esplorazioni spaziali ci hanno consentito di vedere dall'esterno con quelle immagini che ne illustrano la straordinaria bellezza. E proprio i misteri del cosmo hanno definito la sua terribile fragilità, ed oggi abbiamo la consapevolezza delle nostre pesanti responsabilità nello sfruttamento della Terra, che si aggiungono alle altre mille incognite che possono cancellare la presenza umana come avvenne con la bizzarra civiltà dei dinosauri.
Ecco perché la salita sulla luna, immaginata da un poeta come Ariosto e da un romanziere come Jules Verne, finisce per essere interessante come riflessione che spazia dall'avventura umana ai progressi tecnologici, dalle riflessioni filosofiche alla speranza che l'esplorazione dell'Universo apra nuove prospettive per la razza umana, ormai proiettata verso Marte. Ma torniamo a cinquant'anni fa. Ero al mare, ad Imperia, avevo dieci anni e ricordo benissimo nelle confuse immagini televisive in bianco e nero quel duetto-duello fra Tito Stagno e Ruggero Orlando (che conobbi poi bene) sull'atterraggio sul nostro satellite. Erano le 20.18, quando il modulo Lem "Eagle", della missione "Nasa" "Apollo 11", ai comandi di Buzz Aldrin, si posava sul suolo lunare sull'altipiano denominato "Mare della Tranquillità". Solo sei ore più tardi, prima il comandante, Neil Armstrong e poi Aldrin furono i primi esseri umani a mettere piede sulla Luna (l'ultima volta fu nel dicembre del 1972!). Sembrava strano guardare la luna e pensare che l'uomo - che fosse poi una scelta americana in un inseguimento con l'Unione Sovietica poco mi importava e poi all'epoca non capivo certe cose - ci fosse salito sopra con spirito di conquista che affascinava ed ancora oggi colpisce come un punto a capo nel corso della Storia. Non sapevo neppure che le probabilità di riuscire nell'impresa non erano così elevate e gli astronauti, scelti anche per la loro dose di coraggio, lo sapevano bene e rischiarono la loro vita con buona pace degli imbecilli - oggi persino in Parlamento - che seguono la delirante linea cospirativa di una balla... spaziale. Raccontano questi teorici del complotto che le immagini sarebbero state riprese in uno studio con l'ausilio di effetti speciali, montando un inganno ad uso propagandistico. Ma, a parte i matti che purtroppo si raggrumano con facilità, resta l'effetto di quella scoperta, riassunta in quella frase «un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l'umanità», come disse in quella comunicazione radio al momento del balzo sul suolo lunare Neil Armstrong, l'astronauta americano che conquistò il record. Tutto ciò per fortuna non tutta la Poesia sulla Luna. La più evocativa, simile a certe sensazioni personali ad alta quota sulle Alpi, è né primi versi di Giacomo Leopardi in "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia": «Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga Di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga Di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita La vita del pastore. Sorge in sul primo albore Move la greggia oltre pel campo, e vede Greggi, fontane ed erbe; Poi stanco si riposa in su la sera: Altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale Al pastor la sua vita, La vostra vita a voi? dimmi: ove tende Questo vagar mio breve, Il tuo corso immortale?»