Racconterei una storia se dicessi che non sono stato profondamente lusingato a ad essere chiamato sul palco della "Kongress Haus" di Macugnaga per ricevere l'"Insegna di San Bernardo" (il grande santo valdostano forse da noi poco colto nel suo ruolo storico), motivato dalla giuria dal mio impegno per la Montagna e per l'attività politica in favore delle minoranze linguistiche, comprese naturalmente le popolazioni walser. E' stato Enrico Rizzi, uno dei massimi esperti della storia e della cultura walser a dire: «Luciano è il primo e sinora il solo politico a ricevere l'onorificenza perché è stato l'unico a dimostrare un'attenzione costante alle minoranze linguistiche in tutto il suo prestigioso percorso politico». Ha aggiunto, imbarazzandomi per lodi: «Ho conosciuto Luciano il 14 ottobre 1988 quando da giovanissimo deputato valdostano, accompagnato da Cesare Dujany a Gressoney, si presentò ad una delle assise walser. Da lì, da quel giorno, è nato il suo impegno in favore di tutte le minoranze linguistiche, walser in primis, di cui si è fatto paladino».
Ha ricordato e mi ha davvero colpito: «Quando divenne sottosegretario del governo D'Alema, lui ne approfittò da abile politico quale era già per fare approvare la legge 482, che dovrebbe chiamarsi "legge Caveri", perché lui ne è il vero papà». E' vero che mi impegnai molto su quella questione. Era un dovere della Repubblica per dare gambe ad un impegno costituzionale di quella norma all'articolo 6, «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche», che si aggiungeva a quanto già stabilito dalla Costituente negli Statuti speciali, compreso quello valdostano. Norma che aveva una strana radice, essendo stato posto il problema delle minoranze non tutelate da legge di rango costituzionale dall'azionista Tristano Codignola - su spinta in particolare dei valdesi che con i valdostani avevano scritto la "Dichiarazione di Chivasso" del 1943 che evocava i particolarismi linguistici sulle Alpi - grazie al quale si giunse alla formulazione dell'articolo sopracitato. Ma quella norma programmatica era rimasta lettera morta per troppi anni e solo nel 1999 si giunse ad una legge organica che seguii per anni sino alla sua concretizzazione, che risolveva due problemi. Il primo era per la Valle d'Aosta: il vulnus della mancata citazione nello Statuto del francoprovenzale, che venne integrato nella legge, anche se manca ancora a distanza di vent'anni quella norma di attuazione organica che dia ancora più sostanza alla previsione. Il secondo problema risolto era l'ingiustizia in ambito walser: con modifica costituzionale erano state "coperte" le popolazioni walser dei tre Comuni valdostani nel 1993, mentre i walser delle vallate piemontesi erano "scoperti" e solo nel 1999 ebbero finalmente il doveroso riconoscimento. Ma resta il fatto, valido per i walser come per tutte le minoranze linguistiche piccole o grandi che siano e qualunque sia la vitalità della loro parlata storica, che la sfida che bisogna affrontare è quella di tutelare le minoranze, aiutandole a svilupparsi nella modernità per evitare la loro scomparsa, schiacciate dall'avanzare di una scintillante omologazione che ne sminuisce l'importanza storica e culturale. La coscienza di sé, dei diritti e dei doveri di essere degni eredi di storie secolari, non può essere solo una questione giuridica ma di consapevolezza del valore della propria comunità. Aggiungo per completezza che il riconoscimento è stato il segno di stima per l'impegno per il vasto mondo delle Montagne con problemi che vanno al di là della pur importante questione linguistica. Uno dei problemi cardine che ho evocato a Macugnaga è quello dei sovraccosti che pesano su qualunque attività e che sono una delle ragioni di marginalizzazione delle popolazioni montane e dello spopolamento in atto. Tema sul quale molte volte ho scritto e scriverò senza mai lesinare nel battere il chiodo di un problema vero di eguaglianza.