Ci voleva un cronista che conosce l'Unione europea come le sue tasche, Andrea Bonanni, per fare una sintesi in un editoriale su "La Repubblica" sull'esito delle nomine ai vertici delle Istituzioni comunitarie. Così fulmina i perdenti: «Si era schierato contro il candidato Timmermans perché designato da francesi e tedeschi: "E' una questione di metodo. Non vogliamo un'Europa a due, ma a ventotto", aveva spiegato Giuseppe Conte. Grazie a questa mossa geniale, il capo del governo italiano ora ha una tedesca delfina di Merkel alla guida della Commissione europea, una francese alla guida della "Bce", un liberale belga amicissimo di Berlino e Parigi alla presidenza del Consiglio europeo e il socialista spagnolo che ha diretto la guerra contro Maduro in Venezuela al timone della diplomazia Ue. Timmermans, la bestia nera dei populisti, resterà primo vicepresidente della Commissione insieme con la liberale Vestager».
L'Italia ha giocato carte sbagliate e l'inesperienza, mista ad arroganza, di uno sbarbatello della politica come Giuseppe Conte ha pesato persino più della posizione antieuropeista - che non condivido - di Matteo Salvini, che in politica estera cerca l'equilibrismo di non dispiacere né a Putin con un occhio alla Russia né a Trump con posizione atlantiste. Ma non è facile giocare con due estremi, specie con i Paesi dell'Est e del Centro Europa che temono l'ingombrante Mosca. Prosegue Bonanni: «Se l'Italia esce ridicolizzata dalla lunga trattativa che ha portato a decidere le nomine ai vertici della Ue, la vera trionfatrice dell'operazione è Angela Merkel. Era costretta a sostenere uno "Spitzenkandidat" tedesco ma non del suo partito, e lo ha fatto bocciare da Macron. Poi ha compiuto un bel gesto verso i socialisti (che sono nella sua coalizione di governo) appoggiando Timmermans e lasciando che venisse bocciato da polacchi, ungheresi e italiani. Lei stessa si è fatta offrire almeno due volte le poltrone della Commissione e del Consiglio rifiutandole con gesto nobile. Infine è riuscita a imporre la sua protetta Ursula von der Leyen alla guida della Commissione, e la sua amica Christine Lagarde alla "Bce". E si è addirittura tolta lo sfizio sublime di astenersi sul nome della sua pupilla tedesca per non spiacere al partito di Weber. Come a dire: non è una scelta mia, sono gli altri che me la impongono. Alla fin fine, l'unica donna che conta in Europa riesce a imporre due donne sulle poltrone più importanti della Ue». L'Italia - e può essere una consolazione - ha da ieri il presidente, espresso dai socialisti, del Parlamento europeo, David Sassoli, e questo certo alla maggioranza che regge il Governo Conte spiace ed è un segnale per nulla banale dei parlamentari europei che l'hanno votato. Ora la speranza per la maggioranza governativa è quella di avere in Commissione un leghista di peso con qualche delega economica, tipo "concorrenza", cui sia data una vice Presidenza della Commissione, Vedremo e sarebbe un peccato che finisse in Europa quel Giancarlo Giorgetti - testa pensante di grande autorevolezza - che personalmente vidi esordire da deputato a Montecitorio. Spero comunque che si esprima una candidatura moderata e ragionevole, probabilmente tecnica, perché gli eccessi di antieuropeismo sono cosa ben diversa dalla legittima logica di riformismo dell'integrazione europea in crisi, pensando anche che le due donne ai vertici difficilmente giocheranno certe carte a favore dei sovranisti, ma avranno l'intelligenza di effettuare quei cambiamenti che diano maggior appeal ad un'Unione europea che oggi non piace. Mi auguro anche che i nuovi vertici riflettano su quella terribile ferita della Catalogna con il paradosso di tre eurodeputati catalani indipendentisti che per ora non possono fare il loro lavoro al Parlamento europeo, dovendo giurare fedeltà alla Costituzione spagnola. Si tratta di un fatto politicamente grave su di una vicenda, quella catalana, nella quale il mancato intervento delle autorità europee su Madrid è stato una cocente sconfitta di quei principi di libertà e democrazia che l'Europa sbandiera e che sono pure nei Trattati. Certo la scelta del socialista spagnolo Josep Borrell i Fontelles quale Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza certo non aiuta. Guardare all'Europa e farlo con impegno e rapporti politici veri, malgrado l'assenza di un parlamentare europeo eletto dai valdostani, resta una necessità. Lo è perché l'antieuropeismo è nocivo per la Valle sia per ragioni storiche, economiche, linguistiche, situati come siamo geograficamente. Sarebbe miope, con nuovi nazionalismi con effetto frontiera, farsi impiccare in una logica di cul-de-sac, estrema "provincia" di uno Stato nazione che rompa con Bruxelles. Mettersi in gioco vuol dire far parte autorevolmente dei decisori, altrimenti perderemmo solo occasioni importanti e il rischio di essere nani politici in Europa. la procedura d'infrazione - per ora evitata sui conti pubblici per un "volemose bene" post accordi sulle nomine - potrebbe ripiombare sull'Italia.