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12 mag 2019

I revenant del fascismo

di Luciano Caveri

Li vedo nei contenuti e nei modi i revenant nostalgici del tempo che fu, che anche ad Aosta hanno il busto di Mussolini fra i cimeli da esibire (solo per chiarire: mi farebbe orrore anche il volto di Stalin). Sono in tanti a dire che il fenomeno non vada drammatizzato, ma noto come esista una linea sottile di tolleranza che è diventata nel tempo come il "Grand Canyon" negli Stati Uniti. Sono contento che dove lavoro, la "Rai", i vertici aziendali abbiamo stigmatizzato un servizio compiaciuto del telegiornale regionale dell'Emilia Romagna per la manifestazione di Predappio per ricordare l'anniversario della morte di Benito Mussolini.

Ha ragione Mattia Feltri su "Vanity Fair" quando annota: «Il "Mussolini quater" porta il nome del divo Caio Giulio Cesare. Il primo fu naturalmente Benito, poi a fine della Prima Repubblica irruppe Alessandra, di cui Benito era nonno, e che tramite il "Movimento sociale" riportò i Mussolini in Parlamento; il "Mussolini ter" è Rachele, sorella di Alessandra oggi in Consiglio comunale a Roma per i "Fratelli d'Italia", lo stesso partito con cui Caio eccetera ambisce al Parlamento europeo, anche in forza della dinastia: figlio di Guido, figlio di Vittorio, figlio di Benito, che dunque, è il bisnonno di Caio». Ma aggiunge Feltri con una comparazione che è Storia: «Romano, fratello minore di Vittorio, è il padre di Alessandra e Rachele, avute da due donne diverse. Oltre a Vittorio e Romano, Benito ebbe anche Edda, Bruno e Anna Maria, per limitarci alla legittima discendenza, e già così il breve accenno illustra la fitta genealogia dei Mussolini, e neanche oso inoltrarmi nelle prolificità di fratelli, sorelle e cugini del dittatore fascista. Adolf Hitler non lasciò alla storia eredi diretti e quattro di sette, tra fratelli e sorelle, morirono in fasce o molto piccoli; i restanti tre diedero a Hitler nipoti di cui uno solo, col medesimo cognome, sopravvisse alla guerra e si occultò nell'anonimato, nonostante il nome. La nipote prediletta del Führer si chiamava Angelika, lui la ospitò in casa a Monaco negli anni dell'ascesa, sinché in quella casa la ragazza, ventitreenne, si suicidò. Già le circostanze biografiche spiegano perché i Mussolini ritornano e gli Hitler no. E però nessuno è ritornato mai dall'abisso del Reich. Goebbels, l'onnipotente uomo della propaganda nazista, si toglie la vita nel delirio del bunker dove Hitler si spara in testa e l'amante Eva Braun si avvelena con il cianuro; Goebbels si trascina dietro la moglie Magda che la notte precedente ha stordito i sei figli con la morfina e li ha eliminati schiacciandogli una pillola di cianuro fra i denti». Ricorda ancora, più avanti, Feltri: «Hermann Göring ha due figlie, Edda e Bettina. Quando Edda nasce, nel Reich è festa nazionale, si balla e si brinda, si stampano cartoline col volto della piccina, che da grande si chiuderà in un appartamento di Monaco a rimuginare non sulle colpe del padre, ma sulla crudeltà del destino che glielo ha tolto; Bettina (adottiva, è figlia del fratello di Hermann) si fa sterilizzare per non mettere al mondo altri Göring, dunque di nuovo assurdamente intrappolata nelle teorie genetiche. La storia dei figli del Reich è un passo nell'inconcepibile. Se ne potrebbero raccontare molte ma la storia dei cinque fratelli Frank, figli del sanguinario governatore dalla Polonia occupata, è definitiva. La prima, Sigrid, scompare dopo la guerra e se ne saprà qualcosa soltanto alla sua morte in Sudafrica; Norman è l'unico che resiste, aggrappato al pentimento del padre prima dell'impiccagione a Norimberga; Brigitte si suicida a quarantasei anni; Michael milita in gruppi neonazisti fino al crollo, quando comincia a bere, ma non alcol, beve latte, oltre dieci litri al giorno, ogni giorno, arriva a pesare oltre duecento chili e continua a bere fino a morirne. Il più piccolo si chiama Niklas, diventa giornalista dello "Stern" e scrive una serie di articoli che costituiranno un libro davanti al quale la Germania inorridirà: Niklas racconta che da sedicenne si masturbava sulla foto del padre immaginando il momento in cui era appeso rantolante alla corda, e di aver sognato di strappargli e mangiargli il cuore, gridandogli tutto il suo irrimediabile odio. E forse qui possiamo fermarci, davanti all'operetta che è la condanna e la salvezza italiana, e la tragedia che è la condanna e la salvezza tedesca». Scrive su questa storia del fascismo che torna, con vecchie e nuove vesti, il costituzionalista, già mio collega alla Camera, Gianfranco Pasquino: «La storia della Repubblica è costellata di irruzioni più o meno violente di neofascisti nella politica italiana. In almeno un caso molto significativo, lo scioglimento nel 1962 di "Ordine Nuovo" ad opera della magistratura, la reazione è stata netta e decisiva potendosi anche appoggiare sulla disposizione finale della Costituzione che vieta "la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista". La proliferazione di episodi e di manifestazioni di marchio fascista è però continuata, troppo spesso, tollerata, negli stadi e nelle strade, con, ad esempio, le celebrazioni a Predappio per il compleanno di Mussolini il 29 aprile. Occasione anche di turismo e curiosità, non viene seppellita, come vorrebbe uno slogan sessantottino, da una risata facilmente suscitata dalla vendita del vino "Nero di Predappio"». In verità, c'è poco da ridere sul neo-fascismo e ancora meno sul fascismo. C'è, invece, molto da interrogarsi sul significato di troppi incidenti nei quali fanno la loro comparsa uomini (e donne) che il fascismo non conoscono, ma vorrebbero resuscitare. Come sappiamo, all'insegna di una malposta riconciliazione nazionale non si svolse mai una profonda e impeccabile opera di defascistizzazione, ma, soprattutto, la zona grigia che offuscava molto della storia del fascismo rimase molto ampia. Ancora oggi nelle scuole l'insegnamento di quello che fu il regime fascista, di cosa fece, di quali crimini si macchiò, di come fu sconfitto è, nel migliore dei non molti casi, frammentario e quasi pudico». Aggiunge Pasquino: «Tuttavia, rimane assolutamente opportuno continuare a sostenere che la conoscenza storica e politica del fascismo è la premessa indispensabile per tenerlo a bada, per evitarne il ritorno sotto qualsiasi forma, compresa "CasaPound". Ed è anche giusto rilevare che, dal punto di vista dell'educazione politica, bisogna fare molto di più coinvolgendo anche i media. Quando si tratta di azioni violente, di violazioni delle leggi non dovrebbero esistere dubbi sul comminare immediatamente le sanzioni. Il problema più delicato consiste nel tracciare una chiara linea discriminante fra la libertà di espressione, di manifestazione del pensiero e l'incitamento all'odio e l'apologia del fascismo. Purtroppo una società come quella italiana, slabbrata, talvolta esageratamente permissiva, oggi alquanto imbarbarita, non sembra capace di offrire alla magistratura il necessario sostegno al suo intervento, alle sue sentenze, alla legittimità delle azioni di repressione e punizione di tutti i comportamenti visibilmente fascisti. Le impennate di sdegno di parte dell'opinione pubblica e della politica, pur apprezzabili, non, però, quando etichettano ogni comportamento xenofobo o nazional-sovranista come inequivocabilmente fascista, valgono per lo spazio di un mattino o poco più. Le mentalità fasciste vanno combattute con la cultura. I comportamenti fascisti vanno repressi e puniti. Da subito». Nulla da aggiungere e mi spaventa il fatto che chi un tempo si nascondeva per timore oppure si metteva il doppiopetto della rispettabilità, oggi si esibisca in modo muscolare con slogan del Ventennio come bandiera e con uno stand al "Salone del Libro" di Torino. Anche se i libri, rispetto alle persone, sono quelli che fanno meno male e per farsi un vaccino contro le dittature basta sfogliare "Mein Kampf" di un certo Adolf Hitler.