La condanna inflitta ad Augusto Rollandin non stupisce ma rappresenta di certo un "punto e a capo". Come non rilevare anzitutto che siamo all'ennesima notizia che sporca l'immagine della Valle d'Aosta. In questi anni troppe vicende, spesso concatenate, hanno gravemente minato quella reputazione che faceva della nostra piccola Regione alpina un modello. Un tempo, quando capitava di dire «sono valdostano» si suscitavano simpatia e persino qualche invidia, perché eravamo ritenute persone serie e laboriose, che avevano creato un modello funzionante e valido. Oggi capita di vedere nei visi dei nostri interlocutori esterni sorrisi e smorfie e di sentirsi dire cose poco piacevoli, persino con esagerazione, perché si tende a passare dagli eccessi retorici dell'"isola felice" - che era un'iperbole persino ridicola - alla rappresentazione di un luogo dove si consumano solo vicende oscure.
Una patente d'indegnità che colpisce tutto e tutti e a cui bisogna reagire anzitutto al nostro interno, riaffermando i valori dell'Autonomia e non facendo di tutta un'erba un fascio, perché sarebbe ingiusto che tutto il percorso dal dopoguerra ad oggi finisse per essere un coacervo solo di reati ed errori. Sarebbe una visione grottesca e distorta, ingiusta e pericolosa per il nostro futuro. Spero davvero che in questa ultima vicenda nessuno si nasconda dietro alla pur legittima presunzione d'innocenza sino in Cassazione. Basta prendere tempo nel cammino del riscatto e della ripartenza: in certi casi il tempo trascorso è già stato troppo e già in passato l'attesa e certo perdonismo non sono state buone consigliere, perché si sono continuate strade che si sarebbero potute interrompere prima che molto si incancrenisse e oggi in tanti debbono fare il "mea culpa" per silenzi e complicità. Interventi opportuni avrebbero evitato quella diaspora unionista in cui la logica del "divide et impera" ha privato l'Union Valdôtaine di risorse ed intelligenze nel nome dell'uomo solo al comando, grande incantatore facilmente propenso a liberarsi di chi potesse fargli ombra e finisse per non consentirgli quella gestione spregiudicata del potere che ha sempre avuto nel solco di un clientelismo piacione, che è stata la sua arma forte, accompagnata da una sete di comando che non ammetteva contraddittorio. Così si è creato il mito del lavoratore indefesso e decisionista, minaccioso e generoso secondo le circostanze, di certo implacabile nell'usa e getta delle persone senza troppi scrupoli. Si tratta ormai, nel complesso di una carriera politica lunghissima, di fare una valutazione a freddo ancor prima morale che penale, visti metodi e le attitudini di "Guste", che è uno che ha dimostrato di sapersi far strada a furor di popolo. Lui lo ha sempre considerato una sorta di lasciapassare per fare di testa sua, anche quando sbagliava proprio facendo di testa sua con cocciutaggine, specie in quella sindrome di aumentare a dismisura i voti personali, costi quel che costi ed aprendo la porta anche a chi con il mondo autonomista non aveva nulla da spartire. Non ho voglia di mettermi in questa fase della sua e pure della mia vita a fare una radiografia approfondita dell'uomo e del politico. Nessuno può negare il suo carisma e pure le sue capacità, ma ogni cosa - anche le migliori doti - possono alla fine risultare negative se usate per un potere fine a se stesso, invecchiato in metodi ed idee e con un gusto della vendetta sempre nascosto da un candore improbabile. Oggi, ricostruendo rapporti ed avendo una visione lucida per uscirne, bisogna guardare avanti, voltando pagina in fretta nel segno dell'onestà e di un progetto di ricostruzione.