La politologa Sofia Ventura osserva con acume - e anche con tweet al vetriolo - la situazione politica italiana e devo dire che certi suoi messaggi con gli opportuni accorgimenti valgono anche per un clima di eccessi in cui ci stiamo avvitando anche in Valle d'Aosta. La logica "amico-nemico" ha una sua ratio: serve in particolare alla propria identità in una logica "contro" che ringalluzzisce le proprie truppe. Ma esistono in questi "guerre" dei limiti che devono tenere conto delle Istituzioni e dei doveri derivanti da chi esercita dei ruoli in cui esistono interessi superiori a quelli meramente elettoralistici e di bottega. Non si discute affatto la dialettica, anche appassionata, fra maggioranza e opposizione - che è il sale della democrazia - ma esistono regole cui bisogna attenersi, affinché il confronto non sia un incendio perenne. E' più facile distruggere che costruire ed in una comunità non si può pensare che non ci siano ponti che collegano modi di pensare diversi.
Ha scritto domenica scorsa su "La Stampa" la Ventura, partendo dalla polemica governativa antifrancese: «Tra ostilità verso un Paese amico, dichiarazioni incomprensibili e contraddittorie su infrastrutture, nomine, politica economica e internazionale, la percezione che il governo italiano sia in mano ai "barbari" si consolida. "Se ne fregano" di tutto, a partire dall'Europa. Tagliare teste sembra l'inclinazione naturale dei due vicepremier: ieri si sono scagliati contro "Bankitalia" e "Consob", con il ministro dell'Interno che ha evocato un azzeramento dei vertici, con un'affermazione ovvia - "L'indipendenza non può corrispondere a irresponsabilità" - che dato il contesto in cui è stata pronunciata potrebbe far pensare che quell'indipendenza sia sacrificabile. Comportamenti del genere non sono nuovi. Ma oggi sono espressi all'ennesima potenza e così corredati da imperizia, dilettantismo, improvvisazione da far credere di essere su "Scherzi a parte". Ma i due populismi che guidano l'Italia sono metabolizzabili dal sistema democratico? La romanizzazione dei barbari è percorribile? Le migrazioni germaniche e il loro impatto sull'Impero aprirono la strada a radicali trasformazioni dell'ordine europeo e tanti frutti della civiltà si persero e dispersero per secoli prima di essere riportati a vita nuova. Questo solo per ricordare che l'illusione di civilizzare può, nel breve e medio periodo, mandare in pezzi il mondo dei civilizzatori. Ma, soprattutto, i "barbari" provenivano da oltre confine. Oggi nascono tra noi. La società e la politica si sono imbarbarite». E' un effetto visibile e che incattivisce l'ambiente, avvelenando i pozzi e tocca a chi è responsabile trovare elementi aggregativi piuttosto che divisori, ma questo obbliga a senso di responsabilità senza venir meno alle proprie convinzioni. Il voto abruzzese di ieri registra da questo punto di vista una punizione di chi come i "Cinque Stelle" estremizza il populismo, creando un effetto ansiogeno a tutto campo. Aggiunge Ventura: «è piuttosto la storia del Novecento che ci parla di oggi. Che ci racconta dell'illusione di intellettuali e ceti borghesi di utilizzare e controllare le forze irrazionali che scaturivano dall'Europa devastata dal Primo conflitto mondiale. Tra le attuali illusioni, vi è oggi quella di poter "civilizzare" i meno peggio: la Lega di Salvini. Lega e "Movimento Cinque Stelle" sono diversi. L'humus culturale del secondo, ideologico, segnato da un rapporto "magico" con il reale, è totalitario; quello leghista richiama le "mentalità caratteristiche" degli autoritarismi: ordine, sicurezza, sviluppo, a scapito del primato del diritto, del rispetto dei diritti. Ma entrambi devono la loro forza al surriscaldamento continuo, alla creazione incessante di nemici: la Francia, i vertici di "Bankitalia", domani chissà. Nemmeno va dimenticato che l'esplosione di consensi della Lega è legata alla creazione di un nemico "oggettivo": l'immigrato. E che nel partito di Salvini albergano posizioni reazionarie ostili alle donne, agli omosessuali, a una società libera. Civilizzarlo significa forse che le élite "ragionevoli" sarebbero disposte a scendere a patti con tutto questo? Una élite che scende a patti con l'assenza di una cultura liberale, con la spregiudicatezza di un potere che si alimenta del conflitto permanente, con la noncuranza verso i diritti delle persone, è solo un ceto che tenta di sopravvivere. Se una via di uscita esiste, può essere cercata soltanto da una élite rinnovata che piuttosto che inseguire ritrovi quel senso di responsabilità verso la società la cui perdita ha aperto la strada ai barbari di casa nostra». Specie in Valle, dove la comunità è piccola, il dialogo aggregativo è un dovere e noto come, per fortuna, fra le persone che hanno un background simile è un percorso praticabile e lo sforzo è cercare più quel che unisce, mentre quel che divide va messo in seconda fila e catalogato fra quelli elementi dialettici che migliorano le soluzioni necessarie per affrontare i problemi.