La situazione di instabilità politica in Valle d'Aosta ruota ormai da due Legislature attorno ad un numero, abbastanza anonimo in sé, vale a dire 18, che pare essere in tutte le religioni un numero importante, ma non lo è nel nostro caso per la governabilità. A causa dei meccanismi della legge elettorale e dell'andare e venire delle alleanze che cambiano fra prima e dopo il voto, questo 18 - maggioranza risicata sui 35 componenti del Consiglio Valle - è diventata una specie di maledizione per chi governa, che non riesce a superare questa soglia, comunque si combinino i voti. A dire il vero, al momento, non abbiamo neanche il 18, perché uno dei membri della maggioranza è in prigione e manca ancora la sua temporanea sostituzione del primo dei non eletti, come previsto per legge.
Ma la contingenza conta poco: resta la necessità, intanto, di dare una legge elettorale in tempi brevi. Quella con cui si votò lo scorso anno, infatti, aveva - come gli yogurt - la scadenza e dunque, se si dovesse votare ora, sparirebbe quel meccanismo di scrutinio unificato in alcuni centri per evitare di identificare - attraverso la combinazione delle tre preferenze esprimibili - l'origine dei voti. Controllo del voto - lo chiarisce ulteriormente la recente inchiesta sulla 'ndrangheta - che non è solo legata ad un aspetto evidente, e cioè non si può attentare al principio cardine della segretezza del voto, ma il controllo diventa ulteriormente pernicioso se dietro esiste un mercimonio di preferenze con il meccanismo del "do ut des". Esprimo qui qualche valutazione del tutto personale. Il minimo sindacale sarebbe ripristinare questo meccanismo di garanzia, cui si aggiungerebbe il mantenimento del quorum per il premio di maggioranza per le aggregazioni che raggiungano il 42 per cento come risultato elettorale, ottenendo la garanzia di 21 consiglieri su 35. Mancherebbe, comunque, un meccanismo che eviti accordi che violino la volontà elettorale, sciogliendo per altre maggioranze quella "premiata" dal meccanismo che garantisce numeri per governare. In molti vogliono avere le mani libere nel "dopo" e questo non c'entra un tubo con la mancanza di un vincolo di mandato, ma ha a che fare con la violazione del patto stipulato con gli elettori attraverso l'accordo preventivo. In queste ore un testo è giunto in Commissione: pur aumentando il numero dei seggi dove tenere lo scrutino non mantenendo quello per ciascun Comune, ammette la "preferenza unica". Scelta che evita le squadrette dei tre candidati con meccanismi di possibili identificazione per chi si organizzi, ma che certo ha - per chi lo critica - il rischio di favorire gli uscenti, specie senza una limitazione dei mandati consiliari. Esiste già una norma sull'Esecutivo, mentre nulla per i consiglieri e anche su questo ci sono "pro" e "contro". Vedremo quel che capiterà: i sussurri nei corridoi smentiscono l'esistenza di maggioranze granitiche sul tema elettorale, specie in caso di voto segreto. Non mi metto a discettare su cosa sarebbe bene o cosa sarebbe male. In questa fase la partita è in mano ai legislatori regionali. Resto dell'idea che ci sono miriadi di modalità per poter votare. Ad esempio, chi ha paura del voto elettronico con cui si potrebbe salvare capra e cavoli (più preferenze ma senza controllo del voto) appartiene ad una logica complottista, quando adombra un "Grande Fratello" che comunque scruterebbe il voto, tenendo conto della gravità delle responsabilità penali per chi montasse meccanismi occhiuti di questo genere. Oppure: è rimasto inesplorato un meccanismo di divisione territoriale in collegi elettorali uninominali della Valle, mantenendo poi una quota a livello regionale. C'è poi il mito dell'elezione diretta del Presidente della Regione che trascini le proprie "liste amiche", che ha il grande limite di un'ulteriore personalizzazione della politica regionale, quando si discute di personalità troppo forti che hanno condizionato questi decenni a fronte in più dello sfarinamento dei partiti. Insomma: so bene che non è facile trovare soluzioni onnicomprensive e gradite da tutti nel gran vociare della piccola ma litigiosa politica valdostana, dove in molti spingono per le elezioni in pubblico ma frenano in privato per ovvia legge di autoconservazione. Non è facile trovare il bandolo della matassa, ma la legge elettorale non dev'essere considerata l'unica questione da risolvere. Esiste un progressivo invecchiamento di tutti il sistema istituzionale ed una crescente fragilità del sistema politico in parte risolvibile senza le complesse riforme di rango costituzionale dello Statuto. Mancano al momento su questi due filoni scelte davvero decisive e si brancola nel buio, malgrado le grida e i proclami di molti, forse di troppi. E i cittadini stanno a guardare.