Esiste qualcosa di dolente nell'età più avanzata, che è un misto - per noi familiari - fra la tenerezza e l'angoscia. La tenerezza perché è vero che nella terza età - spinta sempre più in là per i nuovi limiti di età raggiunti - ridiventano bambini con un percorso all'inverso, ma l'angoscia deriva dal fatto che i bambini si proiettano come virgulti verso il sole della vita, mentre gli anziani (la parola "vecchi" è diventata una parolaccia a causa dei pudori del "politicamente corretto") sono come quelle vecchie piante secolari che non crescono più e pian piano ci lasciano sino al fatale rinsecchire. E' vero che arrivare ad una veneranda senilità è comunque un privilegio, perché sappiamo come l'imponderabile aleggi su di noi senza che nulla si possa fare per fermarlo, ma quel che più mi colpisce e mi preoccupa per il futuro è quanto appare come elemento doloroso e grave.
Doloroso è il declinare delle forze, l'avanzare degli acciacchi, la necessità di misurare le proprie azioni ed anche quel senso di solitudine quando attorno a te mancano, negli anni, persone amate. Riflessioni che non si possono archiviare nei pensieri migliori, ma che sono inevitabili quando, come mi accade in questi giorni, si deve assistere un genitore ultra ottantenne. Grave è, specie quando si trovano fuori dal contesto rassicurante della loro casa a causa di qualche malattia che li costringe ad operazioni (specie con l'anestesia che crea una certa confusione mentale) ed a degenze (che creano un senso di smarrimento vero e proprio), quella situazione fragilissima in cui scambiano realtà e fantasia, perdono cognizioni di spazio e di tempo, rinvangano vecchie storie che diventano elementi ossessivi e ripetitivi. Non parlo di patologie terribili come "Parkinson" o "Alzheimer", ma di quanto invece appare, specie per i parenti, come un elemento oggettivo di stranezza di discorso e di momenti in cui si perde un pezzo di ragione, che certo i medici sanno indagare, ma temo che le frontiere della Scienza sinora siamo impotenti di fronte a questi processi che ci trovano come figli impotenti e pure impreparati su come ragionevolmente comportarsi. La neurologa, accademica e Senatrice a vita Rita Levi Montalcini, che la vecchiaia l'ha vissuta sulla sua pelle diceva: «Il cervello non invecchia come gli altri organi e per questo va tenuto "in allenamento" durante tutta la vita. Esso ha una capacità di rimodellarsi e, quando muore una cellula, quelle vicine sono in grado di assumerne le funzioni e ricreare gli stessi circuiti. La nostra società per fortuna ci offre le condizioni per vivere una buona terza età. Il vecchio però non deve aspettare che la società si occupi di lui quando è ormai in età avanzata, ma prepararsi prima e sapere cosa fare per vivere bene questa stagione della vita». Facile a dirsi, per chi abbia studiato proprio il cervello e le sue caratteristiche, difficile a farsi, perché nessuno ce lo insegna. Nessuno a titolo preventivo ci prende, ad esempio nei miei sessant'anni ed a beneficio della sanità pubblica e i suoi costi mostruosi anche per via del progressivo ampliarsi dell'età, per istruirci in modo chiaro con alcune regole che non siano affidate al fragile "fai da te". In tanti ci insegnano a passare da bambini all'età adulta e siamo pieni di persone che lo fanno dall'infanzia fino a quella giovinezza ormai dilatatasi nel tempo, ma quando da adulti iniziamo a declinare diventiamo - per molte ragioni oggettive - più soli e lo siamo sempre di più in rapporto al progressivo invecchiamento della nostra vita. Più i confini ai spingono in là più diventiamo inermi e nelle mani di altri, per fortuna senza quegli accanimenti che già il testamento biologico consentono. Penso che dovremmo essere preparati e che le misure di assistenza sanitaria ed assistenziale integrativa, accumulate sin da giovani, siano anch'esse una necessità per evitare che un giorno il welfare ceda sotto il peso di queste nuove prospettive per la nostra umanità. Non sarà tema facile da affrontare - e che nessuno faccia gli scongiuri - ma il volto dolente, le membra deboli, la mente che vaga dei miei genitori risultano un terribile ammonimento che colpisce al cuore, ma tocca anche la ragione.