Quando ho visitato il campo di sterminio di Auschwitz - ed è avvenuto quattro volte - è stato uno dei rari casi nella mia vita in cui ho visto il mondo in bianco, nero e grigio. Pare che esista una malattia, l'acromatopsia completa, che dà questo effetto, ma a me non è capitato dal punto di vista fisico ma per il senso opprimente che quei luoghi restituiscono. A maggior ragione se se ne ha una visione storica precisa nel solco però di quei mesi che mio padre - internato per lavorare in quei luoghi - visse dal maggio del 1944 in un clima di terrore e sconcerto per quello che lui, ventenne, scoprì. Per questo il "Giorno della Memoria" assume per me un significato vero e non rituale, legato al pensiero di questo ragazzo aostano catapultato nel cuore della storia più tragica della Seconda guerra mondiale con il ribrezzo che mi angoscia per certi rigurgiti antisemiti che l'estrema destra neofascista e neonazista coltiva.
Il Presidente Sergio Mattarella, che sul tema non transige e fa benissimo (per fortuna c'è lui al Quirinale e non il famoso candidato dei "Cinque Stelle", Giancarlo Magalli), ha detto sul tema: «Sono passati settantaquattro anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Eppure, nonostante il tanto tempo trascorso, l'orrore indicibile che si spalancò davanti agli occhi dei testimoni è tuttora presente davanti a noi, con il suo terribile impatto. Ci interroga e ci sgomenta ancora oggi. Perché Auschwitz non è soltanto lo sbocco inesorabile di un'ideologia folle e criminale e di un sistema di governo a essa ispirato. Auschwitz, evento drammaticamente reale, rimane, oltre la storia e il suo tempo, simbolo del male assoluto. Quel male che alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, appena se ne ripresentino le condizioni. Una società senza diversi: ecco, in sintesi estrema, il mito fondante e l'obiettivo perseguito dai nazisti. Diversi, innanzitutto, gli ebrei. Colpevoli e condannati come popolo, come gruppo, come "razza" a parte. Gli ebrei. Portatori di una cultura antichissima, base della civiltà europea, vittime da sempre di pregiudizi e di discriminazioni, agli occhi dei nazisti diventano il problema, il nemico numero uno, l'ostacolo principale da rimuovere, con la violenza, per realizzare una società perfetta, a misura della loro farneticazione. Ma quando il benessere dei popoli o gli interessi delle maggioranze, si fanno coincidere con la negazione del diverso - dimenticando che ciascuna persona è diversa da ogni altra - la storia spalanca le porte alle più immani tragedie. Gli ebrei erano bollati con il marchio, infamante, della diversità razziale. Dipinti con tratti grotteschi, con una tale distorsione della realtà da sfociare nel ridicolo, se non si fosse tradotta in tragedia. La furia nazista si accanì con micidiale e sistematica efficienza anche contro altre categorie di "diversi": i dissidenti, gli oppositori, i disabili, i malati di mente, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i rom e i sinti, gli slavi. Nell'ordine nuovo, vagheggiato da Hitler, non c'era posto per la diversità, la tolleranza, l'accettazione, il dialogo. La macchina della propaganda, becera quanto efficace, si era messa in moto a tutti i livelli per fabbricare minacce improbabili e nemici inesistenti. Dove la propaganda non bastava, arrivavano il terrore e la violenza. La ragionevolezza e l'intelligenza umana furono oscurate, fino al punto di non ritorno, dalla nebbia fitta dell'ideologia e dell'odio razziale. Per gettare il marchio di infamia sugli ebrei furono utilizzati tutti i mezzi di indottrinamento allora a disposizione: giornali, radio, cinema, manifesti, libri per bambini, trattati pseudo scientifici, vignette. Per sterminarli si fece ricorso agli strumenti tecnici più avanzati e alle più aggiornate teorie d'organizzazione burocratica e industriale. L'eliminazione del "diverso", del sub-umano, come prodotto finale delle fabbriche della morte. Come ha acutamente notato Bauman, con un paradosso apparente, la modernità tecnologica e scientifica del tempo era piegata spregiudicatamente al servizio di una ideologia antimoderna, barbara e regressiva. Le persecuzioni naziste si iscrivevano in un progetto di società basato sul predominio dei popoli cosiddetti forti e puri sui popoli deboli, su un nazionalismo esasperato nemico della convivenza, sulla guerra come fonte di rigenerazione e di grandezza, su un imperialismo alimentato da delirio di onnipotenza, sulla sottomissione dell'individuo allo Stato, sulla negazione della libertà di coscienza, sulla repressione feroce di ogni forma di dissenso. Tutto quel che la nostra Costituzione ha voluto consapevolmente bandire e contrastare - segnando un discrimine tra l'umanità e la barbarie - con il riconoscimento di eguali diritti e dignità ad ogni persona e con l'obiettivo e il metodo della cooperazione internazionale per una convivenza pacifica tra i popoli e gli Stati». Non si potrebbe dire meglio con la concisione necessaria e con una capacità di cogliere in modo spoglio e essenziale le cose senza fronzoli o artifici retorici inutili. Ma vale una aggiunta secca e inoppugnabile: «il Giorno della Memoria non è soltanto una ricorrenza, in cui si medita sopra una delle più grandi tragedie della storia, ma è un invito, costante e stringente, all'impegno e alla vigilanza. In Italia e nel mondo sono in aumento gli atti di antisemitismo e di razzismo, ispirati a vecchie dottrine e a nuove e perverse ideologie. Si tratta, è vero, di minoranze. Ma sono minoranze sempre più allo scoperto, che sfruttano con astuzia i moderni mezzi di comunicazione, che si insinuano velenosamente negli stadi, nelle scuole, nelle situazioni di disagio. La riproposizione di simboli, di linguaggi, di riferimenti pseudo culturali, di vecchi e screditati falsi documenti, basati su ridicole teorie cospirazioniste, sono tutti segni di un passato che non deve in alcuna forma tornare e richiedono la nostra più ferma e decisa reazione». Sapete bene a cosa si riferisce. Traggo dall'inizio di un articolo de "La Repubblica": "Il "Gruppo dei Savi di Sion" e Mayer Amschel Rothschild, l'abile fondatore della famosa dinastia che ancora oggi controlla il "Sistema Bancario Internazionale", portò alla creazione di un manifesto: «"I Protocolli dei Savi di Sion". Lo scrive su "Twitter" il senatore grillino Elio Lannutti in un tweet poi cancellato, postando anche il link di un sito antisemita e scatenando la reazione delle opposizioni che lo accusano di rilanciare tesi antisemite e false". Per capirci, i "Protocolli dei Savi di Sion" sono in sostanza un falso documento in cui viene descritto un Piano segreto degli ebrei per conquistare il mondo. Il libro iniziò a circolare nei primi anni del Novecento, spacciato come il verbale di una riunione tra i capi dell'ebraismo mondiale, i "Savi di Sion" appunto. In realtà è una collezione di plagi da altri testi antisemiti messa insieme dalla polizia segreta russa per giustificare le persecuzioni nei confronti di ebrei, ma anche di progressisti e liberali. Conclude Mattarella, e sono fiero di citarlo interamente: «Noi Italiani, che abbiamo vissuto l'onta incancellabile delle leggi razziali fasciste e della conseguente persecuzione degli ebrei, abbiamo un dovere morale. Verso la storia e verso l'umanità intera. Il dovere di ricordare, innanzitutto, Ma, soprattutto di combattere, senza remore e senza opportunismi, ogni focolaio di odio, di antisemitismo, di razzismo, di negazionismo, ovunque esso si annidi. E di rifiutare, come ammonisce spesso la senatrice Liliana Segre, l'indifferenza: un male tra i peggiori. Auschwitz, il più grande e più letale dei campi di sterminio - con le sue grida, il suo sangue, il suo fumo acre, i suoi pianti e la sua disperazione, la brutalità dei carnefici - è stato spesso, e comprensibilmente, definito come l'inferno sulla terra. Ma fu, di questo inferno, solo l'ultimo girone, il più brutale e perverso. Un sistema infernale che ha potuto distruggere milioni di vite umane innocenti nel cuore della civiltà europea, soltanto perché, accanto al nefando pilastro dell'odio, era cresciuto quello dell'indifferenza». Si rassicuri chi, afflitto di benaltrismo, invocherà la solita storia degli altri orrori, che condanno sempre e senza dubbi, ma l'Olocausto resta una singolarità nel suo genere. Sul sito osservatorioantisemitismo.it si ricordano e si smontano tutti gli stereotipi verso gli ebrei che furono all'origine delle stragi tedesche e delle persecuzioni in altri Paesi, come l'Unione Sovietica per dire che la stupidità non ha colore. E sulla singolarità della "Shoah" c'è questa breve messa a fuoco, che condivido: «E' vero, la storia del mondo è piena di guerre omicide, di genocidi e di guerre inter-etniche, e non tutte sono sufficientemente ricordate. La "Shoah" invece è oggetto di numerose commemorazioni, fra cui anche di una giornata apposita indetta tramite una legge parlamentare del 2000 e dedicata al ricordo del genocidio a livello nazionale, il 27 gennaio. Tuttavia l'abbondanza di queste cerimonie non è esito di un eccessivo vittimismo da parte degli ebrei, ma piuttosto della particolare natura del genocidio anti-ebraico. L'evento della "Shoah" è infatti un unicum storico, che ha avuto un impatto notevole sulla coscienza europea, costruitasi proprio attorno a questo evento. Inoltre quello ebraico è stato uno sterminio di dimensioni mondiali, pianificato a tavolino ed avvalsosi di un avanzato grado di tecnologia, cosa che non era mai avvenuta in precedenza. Gli ebrei non erano nemici diretti della Germania nazista, né un popolo da sterminare per ambizioni di conquista territoriale o per una loro effettiva minaccia ai Paesi che stavano combattendo la guerra. Il loro sterminio fu programmato a freddo, per pura ideologia e con l'obiettivo di estirpare il popolo ebraico a livello mondiale, solo per puro odio. Ben pochi purtroppo vi si opposero». Questo resta l'aspetto più cupo e ringrazio ancora mio papà che accompagnò in montagna ebrei in fuga verso la Svizzera. E ringrazio Primo Levi per questo pensiero, così attuale: «Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. […] Se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto e del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea».