Non sempre la Logica e la Politica vanno a braccetto. Ed è quanto sta avvenendo nel "braccio di ferro" che il Governo pentastellato e leghista, con un premier Giuseppe Conte del tutto impreparato a questo ruolo per mancanza del minimo di esperienza necessaria, ha aperto in modo plateale con l'Unione europea, oltretutto con un isolamento politico che spaventa ed un'opposizione parlamentare fiacca, se esiste. Fingendo, tra l'altro, chi governa «di voler aprire un dialogo» ancora oggi con la Commissione europea ed il Consiglio per poi, almeno sino ad ora, chiudere tutte le porte alla discussione con Bruxelles, che ha reagito compatta contro chi usa il dileggio e pratica la furbizia.
Intendiamoci subito: non ho mai pensato (mi riferisco al "Patto di stabilità" ed ai suoi sviluppi successivi) che le regole europee, specie quelle intrise di ultraliberismo e di fiducia cieca nel mercato e in regole di bilancio draconiane, sia il giusto. Ma se le cose non vanno ci sono almeno due regole: "Pacta sunt servanda", per cui se aderisci a regole che hai votato poi le applichi e - secondo punto - se contesti accordi precedenti ti muovi per cambiarli e non fai i capricci o reciti la parte dell'offeso per chissà quale "lesa maestà", men che meno con tono aggressivo per mostrare chissà quali muscoli. Ma questa logica del "Nemico" è vecchia come il cucco: serve per la coesione interna, per dare fiato ai leader, e così l'evocazione di un "Cattivo" che ti vuole male serve a creare un'ideologia di difesa ed alimenta sovranismo e nazionalismo. Sul breve si ottiene consenso, ma poi il troppo stroppia. Certo, chi dissente è dipinto come un traditore che gioca in squadra con il "Nemico", ma anche qui le bugie hanno le gambe corte. La demonizzazione dell'Altro accende i fari suoi sui errori più che sulla mancanza progettuale di chi crea artificialmente il "Nemico". Su "Il Post" hanno riassunto meglio di tutti cosa c'è dietro l'apertura della "procedura d'infrazione" nei confronti dell'Italia ed è quanto altri Paesi hanno subito i passato. Spiega il giornale: "La disciplina europea sui bilanci dei singoli stati è una conseguenza dell'unione economica e monetaria dell'Unione. In una situazione in cui così tanti paesi sono profondamente legati, come nell'Unione Europea e nella zona euro, è necessario che ci sia una serie di regole comuni per evitare che alcuni paesi si trovino in situazioni economicamente insostenibili e quindi dannose per tutti gli altri. E' in quest'ottica che nei Trattati di Maastricht, ratificati nel 1992, sono state inserite norme che prevedono come e con quali parametri l'Unione debba monitorare i bilanci nazionali, in sostanza per evitare che accumulino troppo debito o spendano più di quanto riescono a incassare. Le misure di Maastricht sono state tradotte nel cosiddetto "Patto di stabilità" e crescita, nato nel 1997, e più volte aggiornato e arricchito nel corso degli anni: fanno parte del "Patto di stabilità", per esempio, le leggi che chiamiamo "Fiscal compact" - una serie di obiettivi di lungo termine che ciascuno stato si impegna a rispettare - e i parametri per la cosiddetta flessibilità, cioè quelli che danno agli stati un certo margine per rientrare nei parametri europei. Il compito di vigilare sulle regole di bilancio spetta prevalentemente alla Commissione Europea, l'organo esecutivo dell'UE. Specialmente dagli anni della crisi economica, in vista dell'approvazione del bilancio dell'anno successivo - quindi più o meno nell'autunno dell'anno precedente - ciascuno stato avvia dei negoziati con la Commissione Europea per trattare una deroga di qualche punto decimale su alcuni parametri. Da statuto, la Commissione non può giudicare come uno stato sceglie di spendere i propri soldi, ma si limita a controllare che le spese previste non mettano in pericolo la stabilità economica nazionale: per questa ragione acconsente spesso alle richieste degli stati di sforare i parametri, limitandosi a chiedere di rientrare nel percorso stabilito il prima possibile. Può capitare che alcuni stati si trovino in situazioni economiche particolarmente pericolose, o che scelgano volontariamente di sforare i parametri consentiti. Per risolvere questi problemi, il "Patto di stabilità" e crescita prevede due strade: il cosiddetto "braccio preventivo", che di norma prevede solamente un controllo più severo da parte della Commissione, e l'apertura di una procedura di infrazione vera e propria, prevista invece dal cosiddetto "braccio correttivo". Per l'Italia siamo ormai entrati nel meccanismo, così descritto: «Se la procedura viene ufficialmente aperta, vengono seguiti alcuni passaggi previsti dall'articolo 126 dal Trattato sul funzionamento dell'UE. Lo stato membro ha tempo dai tre ai sei mesi per raggiungere degli obiettivi fissati dal Consiglio. Scaduto il termine, la Commissione Europea valuta se lo stato abbia preso o no una serie di "misure efficaci" per raggiungere l'obiettivo e informa il Consiglio delle sue valutazioni. Se il giudizio della Commissione è positivo, il Consiglio ne prende atto. A quel punto la Commissione può chiedere di chiudere la procedura. La decisione finale viene presa dal Consiglio, a cui di fatto viene quindi lasciata la discrezione se intervenire o meno. Se al termine del periodo stabilito il giudizio della Commissione è negativo, il Consiglio può decidere se imporre delle sanzioni (il giudizio della Commissione non è vincolante, ma politicamente molto pesante). Le leggi europee prevedono tre tipi di sanzioni: la trattenuta di una percentuale del PIL, più o meno come avviene per la procedura per deviazione significativa prevista dal braccio preventivo; una multa con una base fissa dello 0,2 per cento di PIL, che può arrivare a un massimo dello 0,5 per cento (per rimanere all'Italia: parliamo di circa 9 miliardi di euro); e la sospensione, parziale o totale, dei fondi strutturali europei destinati al paese sotto esame. Insieme alle sanzioni, il Consiglio prevede nuovi obiettivi e parametri, che devono essere raggiunti entro sei mesi. A quel punto subentra di nuovo la Commissione Europea: se il giudizio diventa positivo, si avviano le pratiche per chiudere la procedura. Altrimenti, le sanzioni vengono rinnovate»". Queste "tagliole" incidono ancora prima che si verifichi la sequenza descritta nella "discesa dagli Inferi" e dunque per cittadini e imprese questa testardaggine sinora dimostrata è un segno non solo di testa dura ma persino di un penchant autodistruttivo, che fa temere le persone più consapevoli che dietro tutto ci sia davvero l'ipotesi di volersi far cacciare dall'Unione europea. Circostanza che sarebbe tragica e irragionevole e credo che, così facendo, le piazze si riempiranno di antigovernativi. La Politica dimostra che a passare dagli altari alla polvere ci vuole poco.