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06 nov 2018

I nostri morti

di Luciano Caveri

"Morti": parola che colpisce sempre, anche quando diventa festa comandata, perché il lutto resta alla mente come una perdita indelebile, comunque lo si consideri nella reazione soggettiva e malgrado quanto tempo sia passato da un avvenimento triste per definizione. E' normale che ogni tanto si pensi a quella prospettiva che verrà per ciascuno, qualunque siano le proprie idee e convinzioni rispetto a quel che dopo l'ultimo respiro succederà o non succederà. A partire da una certa età poi, già fortunati ad esserci, pensando a certe tragedie che si susseguono, vale quanto scritto con sagacia da Lalla Romano: «Quando abbiamo imparato a vivere, moriamo».

Quanto sia vera questa osservazione deriva dalla nostalgia di tante persone amiche, amate, stimate che in queste ore di commemorazione dei defunti ricordiamo. Di anno in anno, più si invecchia per nostra fortuna, è come se in un proprio cimitero nel cuore si aggiungessero nomi e volti di chi si è perduto e di cui si serba, per le ragioni più varie, memoria. E certo che alcuni ci mancano e sono come ferite mai rimarginate che si possono lenire proprio con i ricordi e per quanto ti hanno lasciato di importante. Che siano state legami affettivi, lunghe o brevi frequentazioni, scambi fecondi, brevi flash: tutto nella vita serve a plasmarci e certe assenze pesano, ma il rimpianto cede alla dolcezza del potere della rievocazione qui ed ora, potere della nostra mente. Ha scritto, con la serietà che può avere un grande umorista, Marcello Marchesi: «Si nasce per far guerra alla morte ed esserne sconfitti. Da giovani il nemico è lontano muoiono quelli più avanti. Oh bellezza delle retrovie! Qualche tiro lungo uccide un giovanissimo, qua e là ma pochi e tu procedi, giochi, vivi, ami e dimentichi la battaglia che non ci sarà. Poi la morte aggiusta il tiro. Te ne accorgi quando colpisce o i tuoi amici in giro o qualche scheggia di malattia ti scalfisce. Poi tocca a te. Prima di morire si passa la bandiera ai figli. Ma anche loro non vinceranno».

Certo è così e bisogna necessariamente farsene una ragione, perché è condizione certa di cui avere consapevolezza. Trovo sempre interessante e istruttivo guardare in questi giorni come si animino i cimiteri. Da luoghi solitari e di raccoglimento, anche se poi basta girare la piccola Valle d'Aosta per vedere cimiteri con diversa natura paesaggistica e d'architettura, si trasformano in luogo sociale in uno scambio di incontri e saluti in una affaccendarsi attorno alle tombe rispettive. La Morte e il Lutto sono parte delle tradizioni più antiche e ogni civiltà ha lasciato tracce e testimonianze relative alla pratica di seppellire i defunti e ai rituali che l'accompagnano. Sono molte le ricerche degli antropologi che ci illuminano su questo cammino centrale della nostra umanità, vale a dire tutto ciò che ruota attorno al culto dei morti e di cui, consapevolmente o meno, siamo gli eredi. Anche nella quotidianità di questi giorni in cui con amore e pietas viviamo fisicamente i luoghi dell'ultimo addio. E anche chi nei cimiteri non ci va - ne conosco - coltivano lo stesso quel sentire comune di questi giorni di Novembre, un mese scelto non a caso in quella stagione, l'autunno, che fotografa più di molto altro, con i suoi colori e le sue atmosfere, quell'insieme dei sentimenti di rimembranza.