Bisogna battere il ferro finché è caldo, si dice, per cui torno su di un tema che ho trattato di recente e trovo che non sia solo occasione per esprimere un mio sentimento ma un idem sentire di tanti. E' finito anche in Valle d'Aosta quel periodo che gli americani chiamano "honeymoon", la "luna di miele", cioè di non eccessiva belligeranza in politica (la cui durata è di cento giorni). In particolare le polemiche al calor bianco riguardano il tema complesso del Casinò di Saint-Vincent e della sua crisi su cui, nel decidere come evitare il peggio, si deve procedere con cautela per questioni amministrative e processuali. Non invidio affatto chi deve esporsi in mezzo ad un intrico interpretativo che obbliga i politici a decisioni anche tecniche su cui bisogna essere attrezzati, perché la legge non ammette ignoranza e punisce.
Certo è che questa situazione di fibrillazione segnala ancora una volta la mancanza di una normativa elettorale che dia la sicurezza del "chi vince governa", come antidoto a maggioranze deboli, fissate sul diciotto a diciassette su trentacinque consiglieri, in cui basta uno starnuto per fare cascare tutto e con alleanze previste prima delle elezioni che saltano poi come tappi di champagne in corso di legislatura. Il clima resta cupo soprattutto per il rischio che il fossato fra cittadini e eletti si allarghi e bisogna prendere atto, proprio in politica, della crescente difficoltà di volare più in alto di certi odi e dissapori, sapendo anche di certe pochezze e di interessi che aleggiano. Per cui la ricerca di punti di equilibrio e di mediazione sembra essere diventata una ginnastica intellettuale impossibile e pensare che la Politica, come noble art, dovrebbe servire proprio a questo: confrontarsi, rinunciando ciascuno a qualcosa, per risolvere. Il "pacta sunt servanda" non sempre abita qui e invece questo motto "i patti devono essere osservati" dovrebbe essere il caposaldo dei rapporti politici. Invece c'è un'aria pesante, fatta di segreti e doppiogiochismi, ingenuità e pressappochismo, rivelazione giornalistiche e fughe di notizie pilotate, che alla fine svilisce tutti, senza eccezione alcuna, dando spazio non tanto al populismo - perché chi ne è discepolo sa dove votare in quel caso - ma al crescente disgusto che - per "palati fini" - si trasforma inesorabilmente in quell'astensionismo che non è composto solo da beoti apolitici o da distratti dalla vita privata, ma da molte persone ben consapevoli che fuggono su di una sorta di Aventino e dalla cima della loro montagna osservano certe macerie che non fanno ben sperare sulle sorti progressive dell'Autonomia. Lo dico conscio del fatto di quanto sia difficile - e neppure ne ho il titolo o le capacità - distribuire "voti in pagella", perché qui i perdenti, con il cappello d'asino sulla testa, siamo tutti noi valdostani, politicizzati o meno. Spiace per chi ha visto momenti di crescita e di grande partecipazione, di gioie più che di preoccupazioni, di vitalità più che di catatonia verificare quanto sta avvenendo e lo dico senza fare il tifoso, anche se di fatto lo sono. Guardo il campo di battaglia sconsolante ed io stesso sconsolato, sapendo quanto tutto questo diventi indistinguibile, specie nel gioco di scaricare gli uni agli altri le responsabilità. "Buoni e cattivi", "capaci e incapaci", "brillanti e spenti", "vincenti e perdenti": sullo scacchiere della politica valdostana ognuno può liberamente darsi e dare agli altri questi stessi ruoli, ma oggi bisogna fare i conti più sui fatti che sui racconti e sulle auto-rappresentazioni. Se è vero che della quarantina d'anni passati conosco della storia politica valdostana molte cose e non sempre tutto è stato "rose e fiori" e tanti momenti di difficoltà ci sono stati, ora stento sinceramente a trovare il bandolo della matassa, anzitutto nei miei pensieri. Lo dico per me stesso rispetto alla mia coscienza. Lo dico rispetto ai miei figli ed alle altre persone cui voglio bene, perché interessato al loro futuro. Non perché io sia turbato da un "ribaltone" in più o in meno all'orizzonte - essendocene stati tanti perché la vis polemica e la rivalità dei valdostani è fatto noto e non sempre negativo - ma perché emerge prepotente la difficoltà di fare sintesi e di essere sinceri in una comunità piccola, che già ha i suoi guai ad affermare sé stessa. Immaginarsi poi se nelle divisioni non si è solo "guelfi" e "ghibellini", ma si è come membra sparse - scusate il grand-guignol - dopo un grave incidente stradale in una groviglio di auto, che rende tutto - alla sua visione - come irriconoscibile e vi è solo l'immagine complessiva di un dramma.