Mi capita, d'estate, di essere nostalgico ed è strano, perché chissà che questo non sia uno stato d'animo più autunnale. E' come se infilassi la testa - ma lo faccio solo mentalmente - nel cassetto di quel grande scrittoio di famiglia che si trova nella casa di Verrès dei miei genitori. Ci sono lì conservate scatole e scatole di fotografie, che forse una volta avevano avuto un senso, ma poi - con il grande scartabellare di chi ci ha messo il naso - è oggi un insieme piuttosto informe fatto di persone e di epoche. In certi casi basterà pochissimo perché una parte di queste persone non siano più riconoscibili e dunque cadranno nell'oblio senza storia: hanno ancora un volto mostrato allora alla macchina fotografica, ma senza più un racconto e una personalità.
Come è capitato in alcuni album di famiglia che ho in casa con foto novecentesche di cui non si sa più nulla, se non che guardi persone che non rappresentano più nulla nelle loro divise militari, nei loro abiti borghesi, nei bei cappelli delle signore, nelle immagini di bimbi vestiti da marinaretti. La mia nostalgia estiva non è triste e piuttosto è ridente. Già in passato mi venne da citare quanto scriveva Milan Kundera con evidente sfoggio di cultura: «In greco, "ritorno" si dice "nóstos". "Álgos" significa "sofferenza". La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca ("nostalgia", "nostalgie"), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnoli dicono "añoranza", i portoghesi "saudade"». «In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica - continua Kundera - spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall'impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del Paese natio. Il che, in inglese, si dice "homesickness". O, in tedesco, "heimweh". In olandese: "heimwee". Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l'islandese, distingue i due termini: "söknudur": "nostalgia" in senso lato; e "heimfra": "rimpianto della propria terra". Per questa nozione i cechi, accanto alla parola "nostalgia" presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: "stesk", e un verbo tutto loro; la più commovente frase d'amore ceca: "stýská se mi po tobě": "ho nostalgia di te"; "non posso sopportare il dolore della tua assenza". In spagnolo, "añoranza" viene dal verbo "añorar" ("provare nostalgia"), che viene dal catalano "enyorar", a sia volta derivato dal latino "ignorare". Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell'ignoranza». Per me, invece, è una nostalgia che diventa un elemento arricchente del presente. Come dire? Ho provato momenti impagabili - nel caso riferiti all'estate - e quegli elementi non provocano in me una delusione per il presente, ma sono lo stimolo - come un cane da caccia che cerchi odori che ha in memoria - per avere, pur nelle condizioni mutate, attimi altrettanto belli di quelli già vissuti. Dunque una molla e non un mesto elemento di comparazione. Nulla di luttuoso, insomma, tipo efficace epitaffio che, essendo postumo, c'è poco da stare allegri. Questo è in fondo il rovello dell'invecchiamento: ritrovi nel passato tanti te stesso, ma non possono affatto essere dei sosia di quanto tu sei oggi per molte ragioni. In fondo ci rinnoviamo sempre, portandoci dietro i pezzi del nostro passato, ma che diventano - opportunamente assemblati - degli elementi che ci servono a essere in parte diversi. Se, in questo cammino, si indulge a guardare più indietro che avanti, allora davvero siamo come assaliti da fantasmi di quanto ormai avvenuto e ci si paralizza. Ha scritto, meglio di come saprei fare io, Fernando Pessoa: «E dopotutto ci sono tante consolazioni! C'è l'alto cielo azzurro, limpido e sereno, in cui fluttuano sempre nuvole imperfette. E la brezza lieve […] E, alla fine, arrivano sempre i ricordi, con le loro nostalgie e la loro speranza, e un sorriso di magia alla finestra del mondo, quello che vorremmo, bussando alla porta di quello che siamo».