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09 ago 2018

E intanto il cambiamento climatico...

di Luciano Caveri

Leggo su di un giornale francese "L'Etat du climat 2017", che risulta essere "le résultat de contributions de 500 scientifiques dans 65 Pays". Mentre, sulla scia di Donald Trump che non crede al cambiamento climatico come conseguenza anche ed in certi casi soprattutto dei comportamenti umani, sembra diffondersi uno stolido ottimismo secondo il quale certi cambiamenti ci sono sempre stati e dunque non bisogna pensare a particolari interventi. Capisco che più volte mi sono soffermato su questo argomento, che può essere considerato una rottura di scatole nel fluire della nostra vita. Ma ciò vale solo se si vuole avere una visione egoistica e di breve periodo. Del tipo: "penso alla mia realtà e poco m'importa dell'avvenire e delle ricadute delle scelte fatte o meglio non fatte oggi". Scelta grottesca e pericolosa, anche perché se non si inverte la macchina rischiamo di trovarci drammi e pericoli già pronti e sarebbe come darsi la zappa sui piedi!

Ma ecco quel che emerge dallo studio evidenzia punti da brivido: "Des records de niveaux de gaz à effet de serre". L'année dernière, les concentrations dans l'atmosphère des principaux "Ges" (CO2, méthane, et oxydes nitreux) ont atteint, en moyenne, 405 parties par million (ppm), soit la plus forte concentration jamais enregistrée. D'après les scientifiques du "Groupe d'experts intergouvernemental sur l'évolution du climat" (Giec), pour avoir plus de deux chances sur trois de limiter le réchauffement mondial à 2 °C d'ici à 2100 (l'objectif de l'accord de Paris), il faudrait que les émissions de CO2 entre 1870 et la période où sa concentration dans l'atmosphère sera stabilisée n'excède pas 2.900 gigatonnes (Gt) de CO2. Or environ 2.100 Gt Co2 ont déjà été émises entre 1870 et 2017. Il ne nous reste donc plus que 800 Gt CO2 à émettre si nous voulons avoir des chances de respecter l'objectif des +2 °C. Les émissions de "Ges" doivent donc impérativement atteindre un pic en 2020, soit dans deux ans, puis diminuer rapidement. "Le niveau des mers toujours plus haut". Sous l'influence du réchauffement qui provoque une dilatation de l'eau et la fonte des glaces, le niveau des océans a augmenté de 7,7 centimètres entre 1993 et 2017. C'est la sixième année consécutive que le niveau de la mer augmente par rapport à l'an précédent et il croît de 3,1 centimètres par décennie en moyenne. Cette élévation n'est pas uniforme sur la planète. Dans l'océan Indien et dans le Pacifique tropical, par exemple, elle a dépassé le taux d'augmentation moyen, au contraire de l'est du Pacifique où il est plus bas. Un phénomène étonnant qui est dû à des changements dans la circulation des vents depuis 2012. "Des océans toujours plus chauds en surface". Les températures dans la partie supérieure des océans ont aussi atteint des maximales en 2017. Les océans se réchauffent en captant du carbone émis dans l'atmosphère par les activités humaines, et le stockent sous forme de chaleur principalement dans les 700 premiers mètres d'eau. Cela participe à l'acidification des océans qui touche durement les mollusques et les coraux, ainsi qu'à la création de zones mortes privées d'oxygène. Le rapport souligne la poursuite d'un épisode de blanchissement des récifs coralliens depuis juin 2014. Dans certaines zones de la grande barrière de Corail au large de l'Australie, plus de 95 pour cent des coraux sont morts. Cet évènement a été le plus long, le plus étendu et certainement le plus destructeur des trois observés depuis le début des relevés. "2017, deuxième ou troisième année la plus chaude". D'après plusieurs études, les températures moyennes océaniques et terrestres combinées ont augmenté de 0,38 à 0,48 °C par rapport à la moyenne de 1981-2010. Cela fait de l'année dernière la deuxième ou troisième année la plus chaude enregistrée depuis la seconde moitié du XIXe siècle. Le podium étant occupé par 2015 et 2016. D'après l'Organisation météorologique mondiale, 2018 pourrait rapidement prendre la tête du classement. "Des pôles qui souffrent de températures toujours plus élevées". Dans l'océan Arctique, la couverture de glace maximale a atteint son plus bas en 2017 (sur les trente-huit années d'observation). Pour le mois de septembre, cette surface glacée a été 25 pour cent plus petite que la moyenne constatée sur cette même période. L'Antarctique n'a pas été épargné. Au 1er mars 2017, la superficie de glace maritime y est tombée à 2,1 millions de kilomètres carrés, soit le plus bas jamais observé sur une journée depuis 1978. "Une multiplication des cyclones tropicaux". On se souvient de l'ouragan "Maria" qui a ravagé les Antilles, Cuba et Porto Rico. De même pour "Harvey", qui a dévasté le Texas et la ville de Houston, frôlant le désastre en Louisiane. D'après la "Noaa", le nombre de cyclones tropicaux a légèrement augmenté en 2017: 85 par rapport à la moyenne de 82 sur la période 1981-2010".

Io avrei aggiunto, ma non c'è un breve rappel che dimostra come il cambiamento climatico - in barba a certi effetti sul breve tipo le copiose nevicate di quest'inverno sulle Alpi, senza che le politiche locali se ne occupino seriamente neppure in Occidente - colpisce molto duro nelle zone montane del mondo. Ne scriveva anni fa il climatologo Luca Mercalli e da allora sono giunte solo ulteriori conferme: «Negli ultimi anni si è accumulata un'ampia letteratura scientifica - nonché numerosi documenti politici e progetti di ricerca, in particolare nell'ambito dell'Unione Europea - che evidenziano come le regioni di montagna siano altamente sensibili ai cambiamenti climatici, in quanto riuniscono in un'area ristretta ambienti differenti per quota, esposizione e influenza delle circolazioni atmosferiche. Anche l'Intergovernmental panel on climate change ("Ipcc") inserisce le zone di montagna tra le regioni a maggior rischio climatico ("hot spots"), ed il capitolo 13 di "Agenda 21" (summit della Terra di Rio, 1992), specificatamente dedicato alle regioni montuose, al punto 4 afferma che queste "sono le zone più sensibili ai cambiamenti climatici", questione sempre attuale anche nell'ambito della "Conferenza Rio +20" del giugno 2012. Variazioni climatiche poco percepibili nelle zone di pianura vengono amplificate nelle aree montane ed assumono un valore di diagnosi precoce dell'evoluzione climatica a macroscala, costituendo un'eccezionale fonte di osservazione per la ricerca scientifica ed un banco di prova per lo sviluppo e la valutazione delle politiche di adattamento». Certi capitoletti successivi sono percepibili nella nostra vita comune: regimi delle piogge, forti scrosci più probabili ad alta quota (facile constatarlo con fenomeni che vanno ormai ben al di là dei temporali d'antan); innevamento: meno nevicate, soprattutto a bassa quota, e precoce fusione primaverile (questo cambia nella sostanza una certa impostazione del turismo invernale per non dire della maggior pericolosità dell'alpinismo); dalle "water towers" del mondo, acqua in quantità e tempi diversi (sciolgono i ghiacciai e meno acqua incide in una Valle d'Aosta che come precipitazioni somiglia a zone aride); ecosistemi, foreste, biodiversità: estinzioni in agguato (specie artiche sono in crisi e lo sono anche specie vegetali, ma lo sono pratiche storiche come l'alpeggio). Il riscaldamento complessivo agisce sulla stabilità dei suoli e influenza anche il regime delle valanghe, solo per aggiungere un ulteriore elemento. Per non dire di risorse proprie, come l'idroelettrico in forte e talvolta eccessiva espansione, che devono tenere conto degli eventi in atto, che peggioreranno, se non si drizza in qualche modo la barca. Sembra passato più tempo da quando, nell'ottobre 2013 presentai proprio con Luca Mercalli durante la 97° sessione plenaria del "Comitato delle Regioni" a Bruxelles, il parere "Approcci regionali specifici ai cambiamenti climatici nell'Unione Europea sulla base dell'esempio delle regioni montane":

"Raggiungimento della massima efficienza energetica di edifici nuovi e riqualificazione di quelli esistenti; Introduzione di energie rinnovabili a seconda delle caratteristiche del territorio (solare termico e fotovoltaico, eolico, idroelettrico, biomassa), fino al raggiungimento, ove possibile, dell'autosufficienza energetica; necessità di piani energetici regionali integrati, gestione degli invasi idroelettrici di pompaggio in funzione di stoccaggio della produzione fotovoltaica; Promozione di audit energetici a scala comunale e regionale; Riduzione dei flussi di energia e materia nelle comunità locali a parità di standard di vita; Riduzione della produzione di rifiuti e massima riciclabilità, incentivo alla produzione di compost domestico da rifiuti organici; Riattivazione delle filiere alimentari locali: agricoltura e allevamento di qualità per sostenere principalmente il consumo sul posto e il commercio per i turisti; Gestione forestale regolamentata in relazione al prelievo di biomassa legnosa a fini energetici e da costruzione e attenta alle pressioni derivanti dai cambiamenti climatici; dimensionamento degli impianti di produzione di calore da biomassa non superiore alla producibilità forestale annuale; mantenimento delle foreste di protezione; Forte limitazione del consumo di suolo per edilizia e infrastrutture; Riduzione delle esigenze di mobilità attraverso il potenziamento delle reti informatiche e le "Ict", i servizi informatizzati e il telelavoro (che permetterebbero anche il ripopolamento di zone di montagna abbandonate e una miglior fruizione turistica); Promozione di turismo ambientalmente responsabile; creazione di un osservatorio europeo del turismo, sviluppo dell'agriturismo; Promozione di un'economia verde e di innovazione in ambiente montano: energia, elettronica, sistemi di controllo e monitoraggio, ricerca scientifica e poli di formazione universitaria; Formazione e cultura: la sensibilizzazione del pubblico verso l'urgenza climatica è cruciale per l'applicazione delle buone politiche climatiche e per la strategia di adattamento, per questo si dovrà promuovere la diffusione dei temi ambientali nei programmi scolastici e tramite attività di informazione al pubblico, come la creazione di ‘sportelli per l'adattamento' regionali per elaborare strategie adeguate al contesto locale e informare i cittadini; Programmi di protezione civile e prevenzione del rischio climatico, attraverso infrastrutture, sistemi di previsione e di allerta meteo-idrologici, scambio rapido di informazioni con il pubblico, esercitazioni per la prevenzione dei danni e il salvataggio delle persone".

Cito solo questi passaggi per capire - e gli esiti sono sotto gli occhi di tutti - se qualcosa si sia mosso. Trovo che per il momento ci sia ancora poca consapevolezza e molto timidezza. Forse certi problemi prospettici, ma che in realtà ci stanno togliendo la sedia da sotto il sedere, non hanno l'appeal che certa politica usa per piacere. E così, con buona pace, si perde tempo nella politica planetaria e in quella di piccole dimensioni.