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11 lug 2018

Santé! Ma attenzione...

di Luciano Caveri

Si beve troppo in Valle d'Aosta: lo dicono le statistiche e lo confermano gli esperti che se ne occupano. Poco consolante è sapere che si tratta di una costante nel mondo alpino, senza troppe eccezioni. Non c'è repressione che tenga, come hanno dimostrato tutte le sperimentazioni proibizioniste, ma semmai di un fatto di educazione alimentare e anche di cure. Scriveva qualche settimana fa - e l'ho messo da parte - Francesca Soro sulla pagina locale de "La Stampa": "Sull'età dei ricoverati per disturbi legati al troppo bere, nel 2016 (ultimo aggiornamento), in Valle sono stati presi in cura soprattutto uomini: 43 tra i 18 e i 44 anni, 78 tra i 45 e i 64 anni, 97 tra i 65 e i 74 anni e 31 over 75. Le donne più colpite (18) sono state quelle tra i 45 e i 64 anni. I valdostani passano da secondi a primi in Italia per riammissioni non programmate in ospedale entro trenta giorni dal primo ricovero: 31,1 per cento contro la media nazionale del 9,8. Primi anche per le riammissioni entro sette giorni con un 9,8 per cento".

"Al Pronto soccorso sono arrivati ubriachi in 128 (96 uomini e 32 donne) - si legge ancora - Per i maschi il maggior numero di accessi alle emergenze è nella fascia di età tra 65 e 74 anni. Sono stati invece otto i giovani sotto i 17 anni. Nel 2016 la prevalenza di consumatori di almeno una bevanda alcolica è stata dell'82,1 per cento tra gli uomini e del 62,8 per cento tra le donne, entrambi con un valore superiore alla media nazionale. Ad attrarre di più è il vino con il 72 per cento (le valdostane sono in cima alla classifica italiana come consumatrici), mentre i superalcolici segnano il 6,5 per cento (anche qui le valdostane al primo posto e in aumento sull'anno precedente), gli aperitivi-amari-digestivi lo 0,6 per cento (risultato solo dalle donne), la birra il 20,8 per cento. Tutte le percentuali femminili sono superiori alla media nazionale. L'unico dato inferiore è quello maschile per il consumo di amari. In Valle si conferma l'abitudine a bere fuori pasto (lo fanno 54,8 per cento degli uomini e il 33,2 per cento delle donne) e il "binge drinking" (il fenomeno in crescita dell'abbuffata alcolica coinvolge il 22,9 per cento dei maschi e l'8,8 delle donne)".
C'è poco da stare allegri ed è bene che ognuno ci ragioni, io per primo, visto che non sono astemio e l'altro giorno il mio amico gastroenterologo di grande esperienza, Sergio Crotta, mi ha segnalato come gli ultimi studi confermino che, superando due bicchieri di vino al giorno per gli uomini ed un bicchiere di vino per le donne come consumo quotidiano, la nostra salute può avere dei guai. Regole draconiane, capisco, ma è bene rifletterci senza far venir meno riti piacevoli come l'aperitivo con gli amici. Per altro, proprio nel corso delle ultime elezioni regionali, ho avuto la possibilità di capire quanto le strutture regionali che si occupano delle dipendenze non abbiano quella strutturazione che consentirebbe di affrontare l'alcolismo e le nuove dipendenze che emergono, ad esempio verso il gioco o verso gli strumenti digitali come il telefonino. Sempre l'articolo della Soro, non a caso, osservava: "La relazione ministeriale mostra anche i numeri del personale addetto esclusivamente all'alcoldipendenza. La Valle d'Aosta non ha nessun operatore esclusivamente dedicato: in modo parziale se ne occupano cinque medici, sei psicologi, tre assistenti sociali, sei educatori professionali, quattro infermieri professionali e quattro amministrativi. Gli utenti rilevati sul territorio sono passati da 311 nel 2011 a 332 nel 2016. Due in meno però rispetto al 2015. In quell'anno i nuovi utenti sono stati 67 (45 uomini e 22 donne) contro i 43 (27 uomini e 16 donne) del 2016. Sui trattamenti effettuati per abuso di alcol quello medico-farmacologico-ambulatoriale segna il 41,3 per cento seguito dalla psicoterapia individuale con il 17,7 per cento e dal trattamento socio-riabilitativo con il 16,3 per cento". Finiamo, visto l'argomento non proprio lieto, con qualcosa di simpatico, che ho trovato su "Le Figaro", e che ci svela il perché della tradizione , quando si brinda, di guardarsi negli occhi. Se non lo sapete questa è la spiegazione: "Une histoire qui nous replonge durant l'ère médiévale. À l'époque, les lieux de beuverie sont autrement des endroits rêvés pour empoisonner ses compagnons de boisson. Afin de s'assurer des bonnes intentions de son voisin, il était ainsi courant - voire recommandé - d'entrechoquer son verre contre le sien. Et ce, sans le quitter des yeux. Histoire de s'assurer des bonnes intentions dudit camarade. Si un obscur liquide avait été mélangé au breuvage du joyeux buveur, quelques gouttes s'en déversaient alors dans la chope dudit compagnon. Ce dernier était alors obligé de détourner le regard afin de vérifier qu'aucune larme de poison ne se soit noyée dans son verre. Pris sur le fait, le gentil buveur comprenait ainsi que son compagnon de boisson avait surtout pour dessein de l'assassiner. De nos jours, la tradition a quelque peu changé. Plus question en effet de guetter un éventuel assassin! Si l'on continue de trinquer en regardant notre camarade de boisson, c'est surtout pour placer notre soirée sous les meilleurs auspices. N'allez donc rien imaginer si votre barman vous demande un jour: «Quel poison buvez-vous ce soir?» Il cherchera seulement à égayer votre joyeuse tablée". Santé! Che poi, con quanto detto all'inizio, è motto beneaugurale con qualche legittimo dubbio...