Nella risposta ad una lettrice, ieri sul "Corriere della Sera", Aldo Cazzullo - editorialista e scrittore "Ami de la Vallée d'Aoste" per le sue frequentazioni di Courmayeur - si è occupato del recente cambio, con il ritorno al governo in Spagna dei socialisti di Pedro Sanchez. Un caso interessante di "ribaltone" dovuto ai guai giudiziari del Partito Popolare spagnolo e alla scelta dei baschi di far venire meno - finalmente! - l'appoggio al premier uscente Mariano Rajoy. Il nuovo Primo Ministro ha già annunciato la riapertura di un dialogo con gli indipendentisti catalani e Cazzullo osserva nella risposta su Sanchez: «Sarà probabilmente costretto a convocare nuove elezioni l'anno prossimo. Prima però dovrà, se non raggiungere, almeno individuare una soluzione al caso catalano».
«L'unica possibile è un dialogo che porti a una riforma costituzionale - continua Cazzullo - che riconosca alla Catalogna e ai Paesi baschi un'ampia autonomia finanziaria e lo statuto di nazioni autonome all'interno della vasta patria spagnola; con la liberazione dei leader catalani imprigionati. Solo così Barcellona rinuncerà al miraggio dell'indipendenza. La secessione si è rivelata impossibile; però i secessionisti non possono essere sconfitti a colpi di manganello e di incarcerazioni». Mi sembra, dopo una certa aggressività contro i leader catalani nei reportage di Cazzullo da Barcellona nei giorni caldi della crisi con la Spagna, un'osservazione su cui riflettere, anche se immagino che i catalani ricorderanno i troppi silenzi complici dei socialisti spagnoli nel cuore delle vicende di violenza fisica e di persecuzione giudiziaria. Tuttavia "mai dire mai" e forse può esistere uno spazio per ripartire e fare della Catalogna un terreno di sperimentazione di un progetto federalista, ammesso - lo ripeto - che si crei un clima di fiducia. Accanto al federalismo belga e a quello tedesco, sarebbe interessante che un Paese del Sud dell'Europa intraprendesse questa strada del federalismo. Potrebbe essere una sperimentazione utile dare la possibilità di tornare in Italia su questo argomento, sempre perdente per la vocazione di uno Stato centralista e con la democrazia locale messa sempre in soggezione. Quale sia esattamente la posizione dei "Cinque Stelle" sugli assetti istituzionali è per ora un oggetto misterioso, visto che gli appelli in favore della Democrazia diretta e anche alla Democrazia della Rete sono per ora piuttosto indeterminati se posti sul terreno molto concreto del diritto costituzionale. Il movimentismo "grillino", ora alla prova del Governo, dovrò dire dove vuole andare e sarà interessante capirlo, perché raramente da radici populiste sortisce qualcosa di buono. La prova dei fatti ora è arrivata ed è molto più difficile governare che fare opposizione. Resta il grande mistero della Lega: la scelta nazionalista, con Marine Le Pen che brinda all'Italia all'Ambasciata italiana a Parigi e le telefonate di Matteo Salvini al premier ungherese Viktor Orban, che è un tipaccio da evitare, è evidente e si inserisce nel filone sovranista che ha cambiato di molto la linea degli eredi di Umberto Bossi. Ma esiste ancora un'idea federalista nella Lega di oggi? Il federalismo è un elemento duttile con diverse tipologie applicative, per cui resta un terreno su cui sarebbe interessante confrontarsi, ammesso e non concesso che ci siano davvero degli spazi. Da questo punto di vista, evocando appunto il caso catalano, resta inteso che - come avvenne sin dal decreto luogotenenziale del 1945 che diede una forma originale al nostro ordinamento valdostano - la Valle d'Aosta, per le sue dimensioni e la singolarità della propria Storia, sarebbe davvero un terreno ideale di sperimentazione di nuovi equilibri. Un'area test che, senza perdere quanto già in essere, prefiguri un'Italia Federale nel solco di quella proposta di riforma federalista che presentai alla Camera dei Deputati all'inizio degli anni Novanta, quando il federalismo sembrò - per una breve stagione - un astro nascente per poi tramontare sino al tentativo, persino opposto, della riforma costituzionale Renzi - Boschi bocciata al referendum confermativo. Naturalmente esiste, per qualunque scelta si faccia verso equilibri nuovi, la necessità di avere - contro ogni rischio di blitz in negativo in sede parlamentare - una premessa. Se è vero com'è vero che la Valle gode di un'Autonomia speciale che ha un fondamento pattizio sotto il profilo politico e morale, è altrettanto vero che esiste - più il tempo passa - una sorta di oblio sulle sue radici reali. E non a caso c'è chi, dimenticandosi questa profondità delle istanze autonomiste, semplifica dicendo che furono le pressioni dei francesi (sic!) a consentire questa Autonomia e dunque le ragioni storiche si sarebbero ormai volatilizzate. Semplicismo e ignoranza che mostrano, però, la reale debolezza giuridica che deriva dalle norme attuali. E' vero che ogni riforma statutaria avviene con le procedure complesse di una riforma costituzionale, ma con maggioranze ampie questo iter non è un problema e l'Autonomia può essere rapidamente caducata, così come venne "octroyé" (concessa) essa può sparire con rapidità. Ecco perché solo un elemento pattizio su base giuridica - chiamiamola "Intesa", declinandone i meccanismi di garanzia - può aprire la porta ad una possibile nuova stagione dell'Autonomia. Ogni logica di semplice difesa dell'Autonomia rischia di essere di conseguenza debole, se non si avvia una stagione offensiva che ambisca a geometrie istituzionali innovative e originali sulla cui elaborazione ci vorrebbe davvero un grande e corale sforzo di elaborazione. Onestamente nel discorso di ieri al Senato del nuovo premier, Giuseppe Conte, la cui libertà d'azione appare minuscola, c'è poco, considerando che è questo il passaggio politico sulla specialità: «Ci adopereremo per salvaguardare le Regioni ad Autonomia speciale, del Nord e del Sud del Paese, nella convinzione che la prossimità, la sussidiarietà e la responsabilità, ove localmente concentrate, possano contribuire a migliorare la qualità di vita dei cittadini». Credo si potesse fare di più.