Non c'è mai pace per il carcere di Brissogne: era già nota la notizia clamorosa della mancanza d'acqua potabile per un lungo periodo supplita - si fa per dire - dalla distribuzione di bottiglie ed ora l'"Osapp", uno dei sindacati della Polizia penitenziaria, denuncia il fatto che nelle tubature del carcere valdostano - nel frattempo sanificate - era stato trovato in gran quantità il batterio della legionella. Ci si deve stupire? Direi di no. Infatti chi abbia seguito negli anni la storia della struttura - ed io fra questi - non si stupisce affatto e anzi si chiede che cosa si aspetti a mettere la parola fine ad una storia infausta.
Ero un giovane cronista quando, nel 1980, se ne iniziò la costruzione per sostituire la ormai inutilizzabile Torre dei Balivi, che era servita come prigione sin dagli inizi del XV secolo. Anzi, ad essere precisi, nel 1626, con il trasferimento in altra sede dei rappresentanti ducali - i Balivi, appunto - che non gradivano una sede così periferica e la coabitazione forzata coi prigionieri, nella torre non rimasero che le carceri, che restarono in funzione per oltre tre secoli a beneficio dei prigionieri locali. Era una struttura da ladri di polli, di cui si ricorda ancora la gestione quasi familiare, ben diversa da quella attuale che ha perso del tutto quella caratteristica di carcere ad uso locale, entrando nel giro nazionale burocratico ed inefficiente, che considera la Valle come marginale, tipo la periferia della periferia, tant'è che non si riesce neppure a trasferire un direttore che se ne occupi con una certa continuità e per Roma siamo l'ultima Provincia del Piemonte. Certo, gli errori furono iniziali con la Regione che decise improvvidamente con lo Stato di collocare questa nuova prigione - già troppo grande rispetto alle necessità regionali - nella zona infelice e umida de Les Îles di Brissogne, nell'Envers, fredda d'inverno e torrida d'estate. Oltretutto caricando un piccolo Comune come Brissogne di incombenze dovute alla presenza del grande carcere, che ha visto anche l'arrivo di malavitosi - come i collaboratori di giustizia - di cui con la vecchia prigione dei Balivi si sarebbe fatto a meno. Gli anni Ottanta sono stati non a caso rispetto al caso in esame l'epoca dello scandalo delle "carceri d'oro". Si è trattato di strutture standard costruite in serie in varie zone d'Italia senza alcuna considerazione nella progettazione delle caratteristiche funzionali e climatiche dei posti dove venivano situate e tutte hanno purtroppo gravissimi problemi strutturali. La verità è che, come avviene a Brissogne, cadono letteralmente a pezzi per difetti di partenza, compresa la scarsa qualità del materiale impiegato e l'assenza di manutenzione, neppure quella minimale in un carcere dove si raziona tutto, della carta igienica in su, per scarsità di risorse. Nei suoi trentaquattro anni di vita il carcere valdostano ha visto varie cose: chiusure parziali (oggi è un carcere solo maschile), problemi di personale penitenziario (con i concorsi nazionali la Valle non è ambita e molti vogliono andarsene), sovraffollamento periodico (si è arrivati spesso a superare largamente la capienza), si sono registrate liti sfociate in risse e aggressioni al personale (basta scorrere la cronaca di questi anni), ci sono state difficoltà nel gestire il "via vai" di detenuti con ripercussioni sulla possibilità di far lavorare i detenuti (lo possono testimoniare anche i volontari che operano meritoriamente nella struttura). Tutte questioni registrate con precisione e competenza da Enrico Formento Dojot, che è il Difensore Civico della Regione ed anche la figura del "Garante dei detenuti". Non so quante volte abbia dovuto segnalare un peggioramento della situazione, affrontata dal Ministero di Grazia e Giustizia in modo episodico e senza realmente incidere sui problemi di fondo. Così Formento, che pur con il suo garbo proverbiale non è persona che non parli in modo franco, traccia «un quadro sconfortante» e si coglie nei fatti un continuo degrado in un clima di evidente indifferenza dello Stato. Per cui con realismo si prenda atto della situazione per quella che è, e si abbia il coraggio di dire che è ora di chiudere la prigione, di raderla al suolo e di rinaturalizzare la zona, per dire la parola "fine" di una vicenda partita male e finita peggio.