Non so bene dove andrà e che cosa farà questo nuovo Governo giallo-verde che prende forma a Roma fra mille contraddizioni ed una maggioranza assai risicata al Senato. In generale, tranne che per fedelissimi o nuovi adepti, l'operazione inquieta abbastanza i commentatori politici. Quel che stupisce è anche l'andamento post elettorale con vari giri di valzer che avrebbero potuto sortire scenari molto diversi da quello realizzato, come se nulla fosse. A me quello che colpisce sempre, nel vivere gli avvenimenti nel flusso del presente, è la difficoltà di capire la loro reale portata e l'altra cosa che mi stupisce - pensando al consigliere comunale di "Casapound" nel Consiglio comunale di Aosta, piazza Emile Chanoux - è la difficoltà di situare storicamente certi avvenimenti. Vale a dire che noi che viviamo qui e ora siamo nella situazione imbarazzante di doverci posizionare senza capire ben gli esiti e l'unico modo per farlo è rifarsi in una decisione sul posto e senza paracadute al proprio bagaglio culturale e alle proprie esperienze.
Per farmi capire vorrei estremizzare, partendo da una vera e propria provocazione. Qualche anno fa uscì in Germania "Er ist wieder", il film tratto da "Lui è tornato", il romanzo dello scrittore tedesco Timur Vermes pubblicato nel 2012 in Germania e che divenne il caso letterario con più eco. Parte da un'invenzione: che Adolf Hitler si risvegliasse improvvisamente a Berlino nel maggio del 2011, creando situazioni dal surreale al grottesco, dal divertente al paradossale, ma registrando parecchi successi. Hitler - pur essendo davvero lui - viene scambiato per un comico che fa la parodia di Hitler e che in breve tempo diventa, grazie ad una serie di video su "YouTube", un personaggio televisivo di successo. Pochi mesi fa - prima delle elezioni Politiche - lo spunto è stato ripreso dal regista italiano Luca Miniero con "Sono tornato", che ho visto poche sere fa in televisione, restandone vivamente impressionato. Scriveva nella sua recensione Paola Casella su "Mymovies": «Nel bel mezzo di Piazza Vittorio, cuore multietnico della Capitale, si materializza il Duce in persona, risorto proprio nel giorno della sua morte. Dopo un breve smarrimento iniziale ("Sono a Roma o ad Addis Abeba?") Mussolini decide di riprendere in mano le redini del Paese, e invece di venire rinchiuso in un ospedale psichiatrico accanto al matto che si crede Napoleone viene "scoperto" da un aspirante documentarista, Andrea Canaletti, che lo crede un attore perfettamente in parte. Andrea presenta il Duce ai dirigenti del canale televisivo con cui collabora da eterno precario, i quali creano un programma ad personam: un nuovo balcone dal quale Mussolini potrà affacciarsi per parlare alle masse. Ma gli italiani di oggi saranno pronti a seguirlo?». Si osserva più avanti: «Ciò che cambia non è dunque la trama di base ma la reazione della gente a uno straordinario Massimo Popolizio in camicia nera: nei molti inserti girati da Miniero nella Roma contemporanea, intervistando i passanti e filmando le loro reazioni alla vista del "Duce", non c'è orrore ma spesso approvazione e complicità. (…) Nel costruire una galleria "super partes" degli imitatori del Duce, composta in rapida sequenza da Craxi, Berlusconi, Renzi, Salvini e Grillo, "Sono tornato" manca di identificare una comune deriva politica per sottolineare unicamente una reiterata gestione personalistica del potere. In questo modo il pericolo per la democrazia viene identificato più nel culto della personalità (e nella ricerca tutta italiana di un "padre forte") che nella tendenza italica al populismo demagogico e alla delegazione della propria responsabilità individuale al capo di turno. L'unica scena davvero interessante, quella in cui Mussolini visita un circolo neofascista e ne critica la mancanza di ideologie, è in realtà la recensione più efficace al film di Miniero». Christian Raimo, giornalista e scrittore su "Internazionale" rincara la dose: «Il messaggio è talmente riduttivo che Luca Miniero può sintetizzarlo bene nelle conferenze stampa: oggi se tornasse Mussolini vincerebbe le elezioni, perché l'Italia è essenzialmente, anche a distanza di ottant'anni, un paese fascista. Lo è caratterialmente, per (cattiva) educazione, per inerzia. Mussolini non è altro che la risposta a questo impulso viscerale. Il fascismo raccontato nel film, nelle parole del duce, nelle sue citazioni, non sembra altro che il populismo di oggi: la sfiducia totale nella democrazia rappresentativa, i partiti, i sindacati, la politica in generale; il desiderio di una dittatura morbida; l'ignoranza storica; il maschilismo; la ferocia televisiva o dei social network nell'acclamare un uomo che arringa la folla e nel gettarlo nella polvere il giorno dopo». E più avanti: «Di fatto, la scelta è quella di prescindere da un fascismo storico e di trasfigurarlo in un fascismo immaginato, una sorta di autoritarismo bonario. Un'operazione di autoassoluzione di Mussolini e del fascismo che viene condotta dal film alla luce della tesi che dopo il fascismo l'Italia non è stata molto meglio. Il fascismo in sé contiene un elemento di violenza che non è il suo eccesso trascurabile, ma la sua natura costitutiva. Le leggi razziali o la tragica avventura imperialista o l'alleanza con Hitler sono l'esito di un progetto che vuole eliminare la democrazia liberale con la violenza. Anche per questo è rischioso e sbagliato ridurre il fascismo a Mussolini - il retore efficace, l'uomo innamorato di Claretta, lo statista, l'interprete della pancia del paese - immaginando che il fascismo coincida con il rapporto quasi sponsale tra un duce e il popolo: questa è già un'interpretazione fascisteggiante. Il fascismo era un'ideologia che alla democrazia liberale non voleva sostituire un cesarismo ma - come accadde - un regime che inquadrasse tutta la società in senso militare e gerarchico. In questo senso "Sono tornato" è un film che spreca una grande occasione per ragionare sul fascismo e sull'Italia attraverso il codice della commedia all'italiana». Personalmente sono convinto che il film - che certo consiglio di vedere e lo si trova su "Sky" - possa essere capito solo da chi conosca la Storia, mentre chi non la conosce rischia persino di trovarlo ammiccante e di non cogliere la vena di un paradosso voluto per aprire gli occhi. Questo è il problema: demagogia e populismo possono non avere cariche eversive che portino a svolte autoritarie. Ma non esiste certezza che questo non avvenga e l'unica vaccinazione vera contro certi orrori sta nella consapevolezza dei cittadini di non farsi abbacinare dai capipopolo, dai tribuni e dai masanielli.