L'utilizzo delle piazze pro o contro il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è piuttosto grottesco in una Democrazia, ma chi gioca con le Istituzioni lo fa volentieri e rischia di cascare nella medesima trappola chi, invece, intende difendere la democrazia rappresentativa. Uno scontro fra opposti che farà scintille con il solito rischio che al posto di assumere il valore di un confronto civile si scada, come sta già avvenendo, con insulti sui "social" al Capo dello Stato, che dovrebbe essere occasione per condannare in Tribunale gli insultatori professionisti per vilipendio, perché certe storie nulla hanno a che fare con la libertà d'informazione. Difficile - lo capisco - mantenere i nervi saldi a fronte di certi eccessi, ma non si risponde ai vomitatori professionisti se non con la forza della Legge e non scendendo a certi livelli così bassi.
Leggevo sul "Corriere" Stefano Passigli, che ho conosciuto alla Camera, e che riprende alcuni ragionamenti utili per l'Italia, ma con qualche eco valdostano, se lo si vuole ascoltare. Ecco di cosa si tratta: «Lo scontro che ha portato alla fine, prima ancora della sua nascita, del governo Salvini - Di Maio ha fatto emergere una visione della democrazia e della legittimità delle istituzioni che credevamo felicemente superata con la fine dell'era Berlusconi. L'insistenza con cui Di Maio e Salvini, espressione del 50 per cento dei votanti - ma solo del 37 per cento degli aventi diritto al voto - hanno affermato che il presidente Mattarella non deve opporsi "al voto degli italiani" è non solo infondata nella premessa (gli elettori di Lega e M5S non hanno votato per sostenere gli a loro sconosciuti Conte e Savona), e apertamente lesiva delle prerogative del Presidente sancite dall'articolo 92 della nostra Carta e da una consolidata prassi costituzionale, ma anche del fondamento stesso del nostro ordinamento che all'articolo 1 della Costituzione vede sì affermato che "la sovranità appartiene al popolo" ma che questo "la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Quanto la Costituzione attribuisce alle prerogative del Presidente non può dunque essere condizionato da un voto popolare. Occorre infatti ricordare sempre che nelle liberal-democrazie le costituzioni esistono proprio per porre un limite al volere e potere della maggioranza». Questa storia dei pesi e contrappesi per tenere dritta la barca è cosa antica e resta sempre buona per evitare che da scintille possano scoppiare incendi e da visioni in nuce autoritarie si scada davvero in forme più o meno nuove di dittatura, sapendo che la stessa rivoluzione digitale offre nuovi mezzi di propaganda di massa, utilissimi per indottrinare i meno scafati. Lo si è visto nei tanti gonzi, che pure io conosco, caduti nella logica delle grida verso Mattarella, che sarebbe attentatore della Costituzione. Normalmente di accuse del genere bisognerebbe solo ridere, ma in altre circostanze meglio diffidare del furore popolare indotto ad arte. Aggiunge Passigli: «Tocchiamo qui il cuore della questione e la sorprendente simiglianza tra le affermazioni del duo Salvini - Di Maio e la visione a suo tempo ripetutamente avanzata da Berlusconi, secondo la quale qualsiasi potere che non trovi origine in un diretto voto popolare (Corte costituzionale, Presidenza della Repubblica, magistratura) gode di una legittimità inferiore e non può opporsi a chi sia stato "unto" dal consenso popolare. Inconsapevole per difetto di conoscenza, il duo Salvini - Di Maio ha così riproposto la teoria che vede nella volontà popolare espressa nel solo momento elettorale la fonte di ogni potere. A questa visione si è sempre opposta quella di chi vede nell'equilibrio tra poteri e tra fonti diverse di legittimazione l'essenza stessa della democrazia. Negare questa pluralità di fonti di legittimazione è aprire la via a modelli di governo totalitari. La partita che si è giocata intorno alla nomina a ministro del professor Savona chiama dunque in causa aspetti fondamentali della teoria democratica. Da un lato il giacobinismo che rischia di sconfinare nel totalitarismo, dall'altro la liberal-democrazia. Nel difendere le sue prerogative il presidente Mattarella ha dunque difeso non solo la nostra Costituzione, ma anche le fondamenta stesse della nostra liberal-democrazia. Nelle sconsiderate affermazioni di Salvini cui si è ingenuamente accodato Di Maio - sino a scavalcarlo con una richiesta di impeachment motivata da considerazioni elettoralistiche e dalle tensioni interne al M5S, ma che non trova fondamento alcuno nel comportamento del Presidente pienamente aderente al dettato costituzionale - non solo vi è una paradossale eco delle tesi a suo tempo avanzate da Berlusconi, ma un pericoloso attentato agli equilibri che i nostri padri costituenti hanno voluto a fondamento della nostra Repubblica. Non meravigliamoci dello strumentale attacco che Salvini e Di Maio muovono ora al Presidente, ma ricordiamo sempre che non si tratta solo di un attacco alla sua figura, ma alla nostra Costituzione e alle fondamenta stesse del pensiero democratico. Chiunque abbia a cuore la democrazia non potrà che respingere questa deriva totalitaria». Questa idea del voto popolare come lavatrice contro ogni accusa o ignominia non è per nulla nuova ed è stata ampiamente adoperata anche nella nostra Valle. Forse il tempo di usare questo escamotage è davvero in via di estinzione e certi nodi verranno al pettine senza credere che ci sia nel voto popolare uno sbiancante che fa tornare tutti puliti. «Lo vuole il popolo» è una frase da non adoperare mai quando serve come giustificazione. Lo si è fatto anche per coprire il rumore della ghigliottina.