In Francia si è aperta da qualche mese una discussione sulla riforma della vigente Costituzione, quella della Cinquième_République. Progetto ambizioso del Presidente Emmanuel Macron, che ha tutta l'intenzione di lasciare un segno nella Storia, anche se raramente questo ormai avviene di questi tempi in cui i leader vengono triturati e dopo i trionfi si godono la polvere. Spicca una stranezza fra le proposte che arrivano e mi riferisco ad uno dei punti proposti dall'istituzione francese nota come "Haut conseil à l'Egalité entre les femmes et les hommes". In sostanza si propone di cambiare la triade ereditata dalla Rivoluzione francese: "égalité, liberté, fraternité". Quest'ultima sarebbe da sostituire o con "solidarité" o con un termine misteriosissimo "adelphité", che non esiste sui dizionari italiani.
Lo stesso vale con il francese e spiega Marianne Ferrand su "Le Causeur": «"Adelphité". Le correcteur orthographique de mon "MacBook" bugue, il ne reconnait pas ce mot. Comme moi, il reste perplexe devant cet inconnu qui fleure bon la Grèce antique. Lorsque la technologie offline montre ses limites, ne reste que Google pour sauver les cerveaux en détresse. Je demande définition à notre intelligence partagée et obtiens: "Adelphe, adelphie: Mots tirés du grec et qui signifient union, frère. Cette expression s'applique principalement aux filets des étamines lorsqu'ils sont réunis en faisceaux". Concernant l'adelphité, aucune définition établie par un dictionnaire de bon aloi, ne pope. Seulement, dans les premiers résultats de ma recherche un des Chiennes de garde au titre annonciateur: "Entre fraternité et sororité, l'adelphité, un sentiment qui s'invente entre des femmes et des hommes libres et égaux"». Capito? La pista è quel femminismo francese che pare occuparsi più del lessico che dei problemi reali delle pari opportunità. A mio avviso perciò siamo di fronte ad una colossale sciocchezza, nata per combattere il supposto lato maschile di "Fraternité", che ha la sfortuna di venire dal latino "fratello", fosse stato "sorella"... Raccontavo, tempo fa, l'origine del suo uso. Yannick Bosc dell'Università di Rouen spiega che questa "Fraternité" spunta come "formule de politesse" con la dizione "salut et fraternité", ma poi si afferma e già nel 1790 il sulfureo ma interessantissimo Robespierre scrive: «les gardes nationales porteront sur leur poitrine ces mots gravés: "Le Peuple Français" et, en dessous: "Liberté, Egalité, Fraternité"». Più avanti dice l'autore: «La notion de fraternité est en effet directement liée à celle de l'état social, c'est-à-dire, en des termes qui nous sont contemporains, à la manière dont nous "faisons" société. (…) Les mots "liberté - égalité - fraternité" ne constituent pas des étapes séparées, des temps dissociés et juxtaposés, où on aurait à chaque nouveau terme une sorte de supplément, mais dont l'absence n'affecterait pas le terme précédent. Il n'y a pas d'abord la reconnaissance de la liberté puis, dans un second temps, la mise en pratique de l'égalité - qui serait une radicalisation - puis enfin, à l'horizon, la fraternité présentée comme une utopie. Au contraire, les trois termes disent la même chose sous trois formes. Nous retrouvons ici l'article 4 de la Déclaration de 1789: "la liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui: ainsi, l'exercice des droits naturels de chaque homme n'a de bornes que celles qui assurent aux autres membres de la société la jouissance de ces mêmes droits"». A me questo "Fraternité" piace molto e non è solo laico, essendo ben presente nella cristianità, come cemento che dovrebbe accomunare i fedeli, fratelli nel loro afflato religioso e comunitario. Era di certo un collante in epoca medioevale fra i cavalieri, nella logica di un giuramento di fedeltà e di aiuto reciproco e in fondo esiste un qualche appiglio anche nella sua riproposizione - quale valore etico fondante una società "nuova" - accanto a libertà e eguaglianza in epoca rivoluzionaria, per poi tornare - in una logica di solidarietà di classe - attraverso lo sviluppo del marxismo. Già in passato ho scritto di come si incrocino dibattiti sul curioso destino di due parole spesso messe assieme, appunto "fratellanza" e "solidarietà". Quest'ultimo piace di più alle "femministe" francesi che lo vorrebbero proprio come uno dei sostitutivi di "fratellanza". Ha scritto sul tema lo studioso ed accademico Antonio Maria Baggio, riprendendo un articolo di Stefano Rodotà, ed osserva: «Questo confronto tra fraternità e solidarietà non è nuovo. Il tentativo di sostituire l'idea di fraternità con quella di solidarietà è presente nel dibattito politico francese della seconda metà dell'Ottocento. (…) In generale, lungo l'arco di due-tre decenni, l'idea di solidarietà si impose e venne presentata all'opinione pubblica come vantaggiosa rispetto a quella di fraternità; anzitutto perché poteva assumere, per la mentalità positivista del tempo, una apparenza di scientificità, come interprete dei legami oggettivi di interdipendenza esistenti tra gli uomini nella società, mentre la fraternità veniva inserita in un ambito più soggettivo e affettivo; sembrava, inoltre, più facilmente utilizzabile come principio giuridico, mentre la fraternità si faceva valere soprattutto come dovere morale; infine, ed è l'argomento presentato ancora oggi da Rodotà, la solidarietà permetteva - almeno apparentemente - di conservare i contenuti della fraternità, tagliandone però i suoi legami con la sfera religiosa dalla quale proveniva: sembrava prestarsi meglio, di conseguenza, ad ispirare una azione civile e pubblica, di carattere non confessionale». Osserva più avanti l'autore: «Dire che la fraternità ha un legame con la religione è dire un'ovvietà. Ciò che ci deve interessare sono i contenuti culturali che queste idee di origine religiosa hanno trasmesso alle culture viventi, contenuti che si sono arricchiti e modificati nel corso delle esperienze storiche e che vengono assunti e vissuti indipendentemente dalla loro origine religiosa e dai sacerdoti, druidi o sciamani che ce li hanno trasmessi. Se le religioni dalle quali provengono i contenuti fraterni sono ancora vive e se esse continuano a nutrire la società con i loro contributi, questo costituisce un arricchimento, non un problema, dato che, nello spazio pubblico, gli elementi di fraternità vengono presi in considerazione per i loro aspetti civili e non per le eventuali motivazioni religiose che li producono». Certo, rispetto alla Rivoluzione francese la fine non fu gloriosa e verrebbe da dire specie a colpi di... ghigliottina: «La fraternità dunque cade; non perché sia, dei tre principi del trittico, il più fragile, come suggerisce Rodotà, ma perché cade il trittico intero: libertà, uguaglianza e fraternità avevano assunto significati nuovi proprio attraverso la loro relazione; una libertà fraterna non sarebbe mai degenerata nell'arbitrio della legge del più forte; né un'uguaglianza fraterna avrebbe prodotto sistemi sociali simili a carceri». La conclusione è speranzosa: «Accantonare la fraternità e la sfida che essa rappresenta significherebbe rinunciare a guardare la complessità del nostro tempo, che ci chiede di uscire dalle eredità ideologiche che ancora ingombrano il campo della democrazia, per riuscire ad essere, insieme, sia liberi che uguali». Insomma: speriamo che questa "Fraternité", che potrebbe essere vittima di un ridicolo femminismo linguistico, resti nella Costituzione francese e nei nostri cuori. Sarebbe come togliere uno dei tre colori al vessillo francese!