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06 mag 2018

Morire in montagna

di Luciano Caveri

Ho seguito con angoscia e partecipazione l'evolversi della tragedia alpinistica avvenuta nelle scorse ore nel Canton Valais, a non grande distanza della Valle d'Aosta, a circa tremila metri di quota fra la Pigne d'Arolla ed il Mont Collon. Due gruppi di alpinisti (uno in direzione di un rifugio e l'altro pare verso Evolène in Val d'Hérens) si sono ritrovati in mezzo a condizioni meteo proibitive (si parla di "whiteout", una sorta di nebbia di neve e vento gelido fortissimo), costretti dunque a sostare assieme all'addiaccio su di una parete ghiacciata, nell'impossibilità purtroppo di poter chiamare i soccorsi, perché la zona non è coperta da segnali radio e telefonici. Sei su quattordici sono morti, uno mentre esplorava la zona per raggiungere un rifugio vicino e quattro (fra i quali tre bolzanini) per assideramento, un'altra è morta in ospedale per i postumi ed altri sono in condizioni critiche. Sul luogo, all'alba della notte maledetta, sono intervenuti numerosi soccorritori svizzeri con uno spiegamento di elicotteri senza eguali, allertati dal gestore della "Cabane des Vignettes".

Il primo dei morti, mentre cercava appunto il cammino verso la salvezza, è stata una guida alpina di Como, che operava da anni in Svizzera con la moglie di origine bulgara, l'ultima delle persone morte per via del congelamento. La guida era Mario Castiglioni, 59 anni, organizzatore del gruppo più grande di alpinisti attraverso la sua società ticinese, la "MLG Mountain Guide". Sul sito si trova il suo vastissimo curriculum alpinistico e così si descriveva: «Da tanti anni arrampico, scio e vado in montagna, non mi sento vecchio né stanco per questo, anzi credo che la sicurezza e la forza di oggi è forse di più degli anni in cui ho iniziato. Dal 1975 la passione per la montagna ha preso il sopravvento. Da allora, tutti i giorni, le ore, i minuti passati in salita e in discesa delle montagne, mi hanno insegnato lo spirito d'avventura e regalato momenti indimenticabili». Nella descrizione delle proposte figura - al prezzo di 1.295 euro a persona - la gita, programmata fra il 26 aprile ed il 1° maggio, con l'itinerario su cui sono avvenuti i fatti: «La Chamonix - Zermatt, percorsa la prima volta oltre cento anni fa da alcuni alpinisti inglesi, è la prima grande traversata delle Alpi nella storia dello scialpinismo. E' una traversata stupenda che rappresenta una delle Haute Route più affascinanti delle Alpi ed unisce la capitale mondiale dell'alpinismo alla splendida Zermatt ai piedi della più celebre cima delle Alpi, il Cervino. La sua fama nasce dall'atmosfera, dalle emozioni e dagli scenari d'alta quota che questo percorso da sempre regala. La Chamonix - Zermatt è una grande classica per gli appassionati e ma è anche una traversata impegnativa: quota, lunghezza e dislivello delle tappe richiedono buon allenamento». Proprio la tappa del quarto giorno evidenzia quale fosse la destinazione, quando sono stati colti dal maltempo: partenza dalla "Cabane des Dix", arrivo alla "Cabane des Vignettes". Secondo le cronache giornalistiche il luogo del bivacco nel gelo era a cinque minuti in sci da questa destinazione, ma le vittime non ne avevano probabilmente consapevolezza per via del tempo infame. Come sempre ci si chiede come sia possibile che nel 2018 possano capitare cose del genere e non a caso la magistratura vallesana ha aperto un fascicolo. Sulla bufera leggo dal "Nouvelliste": "Robert Bolognesi, directeur de MétéoRisk, revient sur le déroulement des événements climatiques: «C'étaient des conditions un peu sévères pour de la haute montagne. Le vent était déjà soutenu dimanche en matinée et sa force est montée progressivement, avec des pointes où les rafales ont atteint les 80 km/h. Il a également neigé une quinzaine de centimètres». Le professionnel précise la situation du côté des températures: «Les plus basses s'étalaient entre minuit et 8 h du matin, où elles se situaient entre -5 et -10 degrés à cette altitude. Pendant les pics de vent, on peut estimer une température ressentie à -20 degrés pour une personne non abritée et en plein vent»". Poi si viene al punto: "Dès lors, à la question de savoir s'il était prudent d'initier ou de continuer une randonnée sous un tel ciel, Robert Bolognesi analyse: «Pour des randonneurs expérimentés, entraînés et bien équipés, cela aurait été engagé mais pas impensable. En revanche, cela aurait été de la folie pour un groupe de débutants. Selon le niveau des groupes, cela peut être imprudent comme tout à fait faisable»". Insomma: nessun "j'accuse", ma la dinamica resta davvero da capire ed analizzare. Forse quel che manca davvero, nel susseguirsi delle tragedie di montagna, è un censimento esatto e repertoriato in modo analitico per capire meglio le motivazioni tecniche e pure psicologiche che innescano certe tragedie. Questa resta la chiave di volta della prevenzione, poi esiste naturalmente il libero arbitrio di chi, scegliendo l'alpinismo, è in grado - se pensante e dunque prudente - di apprezzare le forti componenti di rischio insite in questa passione, che possono colpire molto più a caso di quanto si pensi.