Poiché è difficile andare a vivere altrove che non sia questa Terra che abitiamo e condividiamo in sette miliardi e più di persone, è vero come non mai che bisogna preoccuparsi dei focolai di guerra che periodicamente incombono anche sulla nostra testa. Soprattutto quando, come nel caso delle recenti vicende siriane e poco prima di quelle nordcoreane, si creano situazioni potenzialmente esplosive fra le superpotenze - in primis Stati Uniti e Russia - sapendo che, in barba a tutti i proclami, l'olocausto nucleare incombe sempre. Chi conta sulla ragionevolezza degli esseri umani vada a vedere le guerre - più o meno note in corso - e vedrà come questa propensione bellicista è rimasta intatta, malgrado ad ammonirci ci siano non solo gli orrori della guerra di tutti i tempi, ma soprattutto le atrocità della Prima e della Seconda Guerra mondiale, entrambe sviluppatesi per un insieme di ragioni che hanno portato ai conflitti e che si sarebbero potuti evitare.
Ma, si sa, quando ci si trova, per concomitanti ragioni, dentro una polveriera con la benzina per terra basta, infine, una scintilla per scatenare il putiferio e non è bene contare sulla fortuna che questo non avvenga. Rifletteva speranzoso Pietro Calamandrei, alla fine proprio del Secondo conflitto mondiale: «Chi è che semina le guerre? Se tra uno o tra dieci anni una nuova guerra mondiale scoppierà, dove troveremo il responsabile? Nell'ultima guerra la identificazione parve facile: bastò il gesto di due folli che avevano in mano le leve dell'ordigno infernale, per decretare il sacrificio dei popoli innocenti. Ma oggi quelle dittature sono cadute: oggi le sorti della guerra e della pace sono rimesse al popolo. Questo vuol dire, infatti, democrazia: rendere ogni cittadino, anche il più umile, corresponsabile della guerra e della pace del mondo: toglier di mano queste fatali leve ai dittatori paranoici che mandano gli umili a morire, e lasciare agli umili, a coloro ai quali nelle guerre era riservato finora l'ufficio di morire, la scelta tra la morte e la vita. Ma ecco, si vede con terrore che, anche cadute le dittature, nuove guerre si preparano, nuove armi si affilano, nuovi schieramenti si formano. Chi è il responsabile di questi preparativi? Si dice che gli uomini, che oggi sono al potere, sono stati scelti dal voto degli elettori: si deve dunque concludere che le anonime folle degli elettori sono anch'esse per le nuove carneficine? Questa è oggi la terribile verità. La salvezza è solo nelle nostre mani; ma ognuno di noi, se la nuova guerra verrà, sarà colpevole per non averla impedita. [...] Se domani la guerra verrà, ciascuno di noi l'avrà preparata. Non potremo nascondere la nostra innocenza dietro l'ombra dei dittatori: quando c'è la libertà, tutti sono responsabili, nessuno è innocente». In realtà le dittature sono tornate, spesso - come dimostra il caso di Vladimir Putin - attraverso il suffragio universale e questo non è stupefacente pensando ad Adolf Hitler ed a Benito Mussolini. In più, lo stesso suffragio universale ha legittimato a detenere la famosa valigetta che consente l'uso del potenziale atomico un personaggio come Donald Trump, che sarà attorniato da un sistema democratico, ma qualche mattana potrebbe di certo combinarla. Tuttavia la collocazione dell'Italia in questi scenari diplomatici, cui spetta il compito di sminare ogni ragione scatenante i conflitti, dovrebbe apparire chiara, sin dalla Siria dove proprio la notte scorsa sono cominciate e si sono già concluse le azioni militari di ritorsione di americani, francesi e inglesi per le recenti vicende. So bene quanto sia difficile scrivere di questi fatti: l'altro giorno su "Twitter" ho postato un messaggino dedicato ai russofili italiani e alla valutazione che davano sull'uso del gas da parte del regime di Assad su dei civili con la possibile complicità dei russi. Apriti cielo! Numerosi messaggi mi hanno assalito da parte di adoratori di Putin di varia estrazione, direi in generale di estrema destra, che ovviamente incolpavano americani ed israeliani di avere costruito il caso e mi davano o del «cretino» o del «venduto». Invece, resto convinto - sapendo che vergini su retroscena bellici di vario genere non ce ne sono - che un punto dovrebbe restare fisso e lo ha illustrato ieri, sul "Corriere della Sera", Franco Venturini, partendo da un interrogativo da non prendere sottogamba: «E' possibile, mentre si cerca di dare un governo al Paese, che due formazioni che aspirano a guidarlo, la Lega e i Cinque Stelle, puntino ad allontanare l'Italia dal suo tradizionale sistema di alleanze?». Su questo, dopo aver inquadrato il momento, osserva: «in queste ore ad alto rischio non basta che Salvini e Di Maio mostrino una minore ambiguità sulla collocazione internazionale dell'Italia, e smettano di strizzare l'occhio a Mosca per dimostrare di essere "diversi". Nell'interesse nazionale è necessario piuttosto che tutte le istanze decisionali riescano a valutare la gravità del momento. Ci dice qualcosa il fatto che il segretario generale dell'Onu abbia ieri convocato i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza per esortarli ad evitare che la situazione vada "fuori controllo"? Sì, ci dice che in questa fase gli occidentali, e anche i russi, somigliano terribilmente ai "Sonnambuli" che lo storico Christopher Clark ha magistralmente descritto e che a inizio Novecento favorirono quasi senza accorgersene lo scoppio della Prima guerra mondiale. Si tende a non vedere che il passaggio dalla guerra per procura (come in Siria) a quella diretta tra le superpotenze può essere veloce quando c'è chi lo vuole. Si accetta senza troppo pensarci su che azioni inaccettabili ma non verificate mettano in moto la ben nota "comunicazione dell'orrore", volta a condizionare le opinioni pubbliche e a decidere così le azioni dei governi. Si ha difficoltà ad uscire dai propri provincialismi o nazionalismi, dimenticando, e mi riferisco di nuovo agli europei, che nel nostro continente c'è già un conflitto "caldo" (in Ucraina, diecimila morti dal 2014) e che se Usa e Russia tornassero oggi a una guerra semi-fredda il campo di battaglia sarebbe di nuovo l'Europa, con l'aggravante che i sistemi di deterrenza nucleare esistenti prima della caduta del muro di Berlino oggi sono stati smantellati. Non si vuole qui annunciare una guerra prossima tra America e Russia. Non è ancora così, tant'è che militari americani e russi si stanno parlando in queste ore per evitare che i "missili belli" di Trump colpiscano militari di Mosca dislocati in Siria. Ma la tensione tra Washington e Mosca è ormai a livelli potenzialmente molto pericolosi, e i colpi di pistola di Sarajevo 1914, per restare all'analogia, potrebbero essere esplosi in qualunque momento, anche per errore». E più avanti la necessaria cautela di un vecchio commentatore: «Putin non è certo innocente, dall'Ucraina alla stessa Siria e alle interferenze elettorali in Occidente (anche in Europa). Ma pare davvero credibile che Mosca compia o autorizzi un attacco chimico a Ghouta Est nel giorno stesso in cui i suoi negoziatori ottengono l'allontanamento dei sunniti radicali di Jaysh al-Islam, non estranei essi stessi, sembra, a una certa familiarità con armi chimiche? E desiderosi (come i sauditi) di convincere Trump a non ritirarsi dalla Siria? Tutto è possibile, a cominciare da un colpo di testa di Assad. Ma prove non le avremo mai, perché la "scena del crimine" può essere creata e disfatta con facilità in una guerra sporca e molto attenta alla propaganda come quella siriana. La risposta Usa, lo abbiamo detto, è politicamente e strategicamente inevitabile. Che Londra voglia associarsi è comprensibile, perché con la Brexit tornano equilibri atlantici peraltro mai abbandonati. Che la Francia di Macron mostri a tal punto la volontà di esserci, invece, è un errore di eccessiva ambizione. Il capo dell'Eliseo è sempre stato fermissimo sul tema delle armi chimiche, e non è un mistero la speciale sensibilità francese sulle vicende siriane. Ma nel caso specifico sembra esserci piuttosto l'ambizione di diventare l'interlocutore privilegiato europeo degli Usa a scapito della Merkel, che ha un pessimo rapporto con la Casa Bianca anche se presto vi andrà in visita. Questo non è necessariamente nell'interesse dell'Europa che lo stesso Macron vuole coraggiosamente riformare. E difficilmente indurrà Trump a chiudere un occhio sull'accordo nucleare con l'Iran, il 12 maggio prossimo. Tutt'altro: l'Iran, ora che John Bolton consiglia Trump, potrebbe diventare il prossimo bersaglio da colpire. L'Italia può e deve dire la sua. A condizioni di capire, prima, che la dimensione della crisi è enormemente superiore alle nostre pur legittime battaglie politiche interne. La posta in gioco è altra, come ha detto in questi giorni un Mikhail Gorbaciov strappato alla pensione: "Trump e Putin devono incontrarsi, altrimenti avremo una riedizione della crisi dei missili del 1962". Nel caso, c'è da sperare che finisca nello stesso modo». Venturini si riferisce alla celebre crisi dei missili di Cuba posizionati sull'isola contro gli USA dai sovietici: allora i missili non partirono più per una serie di fortunate combinazioni che per volontà politica. E' bene rammentarlo e spinge a spegnere il focolaio siriano.