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31 mar 2018

L'eroe e l'antieroe

di Luciano Caveri

Penso sempre a quanto sia difficile decriptare la realtà e formarsi un'opinione che non sia frutto dei nostri pregiudizi e di quel castello di convinzioni in cui talvolta ci chiudiamo. Ogni appello alla ragione si fonda sulla nostra capacità di non inforcare gli occhiali dell'ideologia, che non vuol dire affatto non avere idee e convinzioni, ma sottoponendole sempre a verifiche per non trasformarci in ebeti o robottini, che finiscono per non ragionare più, come invece è necessario fare, con la propria testa. Anche con il rischio - che pure esiste sempre - di sbagliare per la nostra fallibilità. Ma è meglio questo piuttosto che affondare nel conformismo. Odio la retorica in generale e ancora di più quando ruota attorno alla Guerra e diventa un'ode all'esaltazione bellicista, fatta di toni che celebrano morte e distruzione. Solo il buonsenso serve a spogliare i fatti di orpelli inutili e pericolosi e ci consente di venire al punto e ci aiuta a distinguere le cose.

Resta sempre valido l'ammonimento di George Orwell: «Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato». Questo significa nella sostanza dei fatti che la Storia non è una banalità e basta purtroppo poco per privarla di significato. Se noi cominciamo a dire, ad esempio, che la Prima Guerra mondiale è stata solo un insieme di battaglie gloriose in cui il fulgido sacrificio delle vite umane è il solo aspetto che emerge dalle nebbie della memoria non rendiamo un servizio alla verità, che era fatta dall'emergere di armi micidiali, di sofferenze e paure, di bene e di male, di chiaro e di scuro. Questo non vuol dire togliere qualcosa a chi ha vinto, ma ripristinare un quadro che sia aderente alle contraddizioni che ci sono sempre in esaltazioni perniciose. Oppure - ancora più angosciante - se vincessero le tesi folli del negazionismo dell'Olocausto e questo diventasse il Verbo, allora vedremmo affermarsi la tesi aberrante di una "Shoah" di cartapesta, frutto di una ricostruzione ambigua e non sarebbe invece un buco nero indelebile nella coscienza dell'umanità. Cancellare certi avvenimenti sarebbe non solo un modo per modificare il passato, ma un uso strumentale per l'oggi e per il domani. Ci pensavo in queste ore e non appaia una bizzarria rispetto alle cronache dedicate all'atto terroristico islamista che ha insanguinato la Francia, ponendo di fronte due figure: da una parte il tenente colonnello della Gendarmerie, Arnaud Beltrame, e dall'altra l'attentatore, Radouane Lakdim, marocchino naturalizzato francese. Beltrame ha deciso di fronte ad una presa di ostaggi di sostituirsi ad una donna: lo ha fatto per senso del dovere, con coraggio, sapendo di finire nelle mani di un uomo - questo Lakdim - che aveva deciso di morire, immolandosi per la sua fede distorta, portando con sé più cadaveri possibili di "infedeli" e fra questi l'ufficiale che si è fatto avanti, ucciso a colpi di pistola e coltellate, pur essendo inerme. Questo atto è tragicamente eroico e pone il soldato francese sotto una luce evidente, che ne esalta - senza bisogno di troppe parole enfatiche e magniloquenza - la figura. Dall'altra c'è il giovane arabo: per noi un antieroe, esaltato e feroce, confuso nella sua cattiveria. Ma - attenzione! - mentre per noi è un modello negativo, disgustoso nei suoi comportamenti, diventa per i suoi, nella funebre propaganda islamista, un eroe e un modello di sacrificio per la sua causa e per il suo Paradiso del male. Non so se si coglie questa storia drammatica dell'inversione di ruoli fra eroe e antieroe ed è questo che ci obbliga a non usare il ciarpame retorico anche nell'esaltare - come invece va fatto - questo Arnaud Beltrame, riportandolo non solo nel pantheon del prode ma soprattutto alla sua dimensione umana, quotidiana e familiare, fatta di una dimensione morale e nell'etica del proprio lavoro. Trovo che questa dev'essere la differenza fra la civiltà intrisa di senso civico che diventa il sacrificio della propria vita e chi muore egualmente, ma con il cuore colmo di odio ed esaltazione, senza neppure aver diritto - per quel mi riguarda - alla pietà. Questo arrivare al sodo, senza abbellimenti retorici, ci consente di ricordare l'ammonimento orwelliano ricordato all'inizio.