Non capirò niente di politica ma a me questa storia della differenza politica enorme fra Nord al centrodestra con Lega sugli altari e Sud pentastellato nelle elezioni politiche, nel gran pasticcio delle vicende italiane, accende qualche lampadina. Noi ci siamo abituati a tutto e al contrario di tutto, ma un commentatore politico estone, filippino, ecuadoriano o del Senegal che ci guardi da fuori si può chiedere legittimamente: «come fa l'Italia così diversa politicamente, trasformatasi in due blocchi separati, a stare assieme?» E ancora si potrebbero domandare: «quando il Sud italiano votava partiti come la vecchia Democrazia Cristiana o il Partito socialista italiano oppure - che so - Forza Italia si diceva che le diverse mafie facevano votare lì, ora che stravince il "Movimento Cinque Stelle" nelle stesse circoscrizioni siamo davvero ad una ribellione popolare oppure, senza nulla togliere al risultato, può esserci qualche sospetto da "gatta ci cova"?».
Quel che è certo che questo enorme clivage riaccende il faro su cosa fare di questo Paese sempre più diverso con una sorta di faglia politica che accentua diversità già stratificatisi nel tempo e che appaiono irrisolte attorno al grande punto interrogativo della "questione meridionale", che oggi sembra pervasa da ridicole derive neoborboniche. Cambio scenario, sperando di non apparire matto. Ieri Eric Vidal di "Reuters" ha intervistato per sette giornali europei ("La Repubblica", "Die Welt", "El País", "Le Figaro", "Le Soir", "Tribune de Genève" e "Tages-Anzeiger") l'ex presidente Carles Puigdemont, in esilio in Belgio da fine ottobre, e che - dopo le elezioni regionali - ha rinunciato alla candidatura alla Presidenza per l'impossibilità di una sua elezioni a distanza (in Spagna rischia l'arresto). Per altro, in una Spagna dove si usano le manette piuttosto che il dialogo politico, il nuovo candidato, Jordi Sànchez, non si è potuto presentare in Parlamento, perché è in carcere con una carcerazione preventiva che sembra essere un vecchio vizio franchista in barba alla Costituzione. Puidgemont, che sta sulle scatole ai commentatori italiani, in particolare ad Aldo Cazzullo del "Corriere della Sera" che si è schierato in toto con Madrid, è in questi giorni a Ginevra per prendere parte al "Festival del cinema e forum internazionale sui diritti umani". Posto adatto, vista la scelta liberticida della Spagna, che non riesce a trovare momenti di mediazione grazie anche all'aiuto dagli Stati europei che temono casi analoghi a casa propria e l'Unione europea che si è rimangiata ogni discorso di libertà. Eccezione è stato il Belgio federalista che già aveva detto agli spagnoli che avrebbe negato l'estradizione del leader catalano riparatosi a Bruxelles e pure gli svizzeri avevano già fatto «marameo» a Madrid che si era attivato per far rientrare forzatamente Puidgemont.
Ma ecco l'intervista. Vidal: «E' venuto in Svizzera per cercare sostegni all'apertura di un negoziato con il Governo spagnolo?». Puidgemont: «Non lo chiedo esplicitamente. Ma tutto quello che si può fare dall'esterno per favorire un dialogo è nell'interesse dei catalani, degli spagnoli e di tutti gli europei. Non riesco a immaginare una soluzione senza un negoziato che veda la partecipazione di una terza parte che possa svolgere il ruolo di mediatore. Non chiedo all'Unione europea di sostenere l'indipendenza della Catalogna, ma di sostenere i diritti civili e politici fondamentali».
Vidal:«Ginevra è anche la sede dell'Onu. Lei ha presentato reclamo contro la Spagna per violazione del diritto all'autodeterminazione. E' anche per questo che è qui?». Puidgemont: «Assolutamente no. La nostra pratica è in corso, ma dovrà seguire il percorso che il Consiglio per i diritti umani giudicherà opportuno».
Vidal: «Lei cita spesso la Svizzera come modello di decentralizzazione. Potrebbe essere applicato alla Spagna?». Puidgemont: «Mi chiedono sempre se l'indipendenza sia l'unica soluzione. Io rispondo che non è l'unica strada. Siamo disposti a lavorare su altri modelli per arrivare a un accordo. Il modello svizzero rispetta la diversità culturale e linguistica e mostra che la coesistenza è possibile. Ma per arrivarci, bisogna riconoscere che esiste un problema politico. Bisogna riconoscere l'altro come un soggetto politico con cui dialogare, senza linee rosse. E' quello che non si è riusciti a fare nel caso della Spagna. Non si è riusciti a far capire al sistema politico spagnolo che bisognava parlare. Che bisognava riconoscerci come attore politico e non come soggetto criminale».
Vidal: «Alcuni la definiscono un martire, altri un fuggiasco. E lei?». Puidgemont: «Non sono mai stato in una situazione di illegalità. Mi sono messo a disposizione della giustizia belga. Mi sono limitato a usare i miei diritti nel quadro delle leggi europee. In secondo luogo, non ho la vocazione del martire. Faccio politica. Ma mi ribello contro la situazione dei miei compagni incarcerati. E' un'ingiustizia intollerabile. Sono un combattente democratico e pacifico».
Vidal: «Dopo gli avvenimenti di questi ultimi sei mesi, se potesse rifare qualcosa agirebbe nello stesso modo?». Puidgemont: «C'è una cosa che farei diversamente. Il 10 ottobre avevamo previsto di proclamare l'indipendenza, ma io ho deciso di sospendere gli effetti concreti di questa dichiarazione per lasciare una porta aperta al dialogo con il Governo spagnolo. E' quello che mi avevano suggerito di fare da Madrid. Ho agito dunque in modo responsabile, addirittura azzardato, visto che tutti si aspettano una proclamazione effettiva. Ho scelto di dare una possibilità al dialogo. Sfortunatamente, era una trappola, perché non c'è stata alcuna reazione positiva da parte del Governo. Se potessi tornare sui miei passi, non sospenderei la proclamazione di indipendenza».
Vidal: «Lei accetterebbe che fossero gli spagnoli a pronunciarsi sul futuro della Catalogna?». Puidgemont: «Non l'ho mai rifiutato. In ogni caso, il risultato in Catalogna sarebbe molto significativo. Detto questo, nella maggioranza dei casi, salvo forse l'Algeria, è il territorio che vuole diventare uno Stato che si esprime. Veda il caso della Scozia. O anche il caso della "Brexit"».
Vidal: «Ma qual è il piano? Continuare a proporre dei candidati a cui Madrid impedirà di esercitare la carica? Qual è l'alternativa? Sottomettersi? Quale sarà esattamente il suo ruolo in futuro?». Puidgemont: «Dipende. Se lo Stato spagnolo non si deciderà a capire che bisogna cominciare a parlare ed a fare politica, se continuerà con la repressione, la persecuzione giudiziaria, forse dovrò restare in esilio parecchi anni. Ma non è il mio desiderio. Io lavoro per una soluzione politica negoziata».
Cosa c'entra con l'Italia?. C'entra, c'entra: o anche l'Italia si inizierà a riflettere su un nuovo ordinamento statuale con quel federalismo - sempre minoritario - che sembra il solo antidoto contro il centralismo degli Stati che ci mette poco a mostrare, come in Spagna, il suo volto autoritario. E potrebbe anche essere frutto di logiche centrifughe non soggette ad un disegno logico, come avvenuto in Catalogna in assenza di momenti di confronto e mediazione. Temo che anche i valdostani - quelli che si sentono tali, perché ad altri che pure stanno qui piace ormai il gioco di non sentirsi tali - cominceranno a percepire come l'Autonomia in questo sia strumento debole e soprattutto reversibile con troppa facilità. E già aleggiano vicende - pensiamo al bilancio regionale ridotto quasi alla metà in dieci anni - che ne sono la premessa, compresa un'indegnità di alcuni che nei propri ruoli l'autonomia l'avrebbero dovuta difendere se non nobilitare. Avrebbero...