Qualche giorno fa, per puro artificio come stimolo rispetto alla realtà cupa di questi tempi, avevo inventato il ritrovamento di un messaggio in bottiglia nascosto dai membri del primo Consiglio Valle del 1946: era, nelle mie intenzioni, un'invenzione come stimolo morale, un «Soyez dignes de nous», che suonasse come un grido dal passato, che echeggiasse nelle nostre orecchie. Per altro la conoscenza della storia valdostana, se non fosse negletta nella formazione politica, è esattamente questo: un cammino lungo e tortuoso per il riconoscimento di una piccola comunità in continua evoluzione, che ha sempre subito - con alti e bassi - non solo le scelte condizionanti esterne, ma anche la qualità e l'avvedutezza delle scelte interne. Momenti d'oro e clamorosi tonfi restano marcati sui calendari come testimonianza di errori altrui e pure nostri, quando - a certi crocicchi - si sono prese direzioni dimostratesi errate.
Ma questa storia dei messaggi dal passato hanno un caso veritiero, che va evocato in questo 2018, il secolo esatto dalla fine della tragica Prima guerra mondiale, che insanguinò anche la Valle d'Aosta con i suoi alpino nelle trincee dall'altra parte delle Alpi. Mi ha scritto, infatti, da Saint-Vincent il mio amico - ricercatore e storico, specie delle cose del suo paese - Pigi Crétier, citando un suo articolo, di cui ricorderò alcuni passi, illuminanti di un fatto realmente accaduto. Ecco l'inizio: «Nell'esatto punto in cui oggi si trova Piazza Cavalieri di Vittorio Veneto e i suoi giardini, per molti secoli si è tenuta la Fiera dei prodotti agricoli e del bestiame; per questo motivo i nostri nonni chiamavano quello spazio tra le case composto da prati e piazza "Il prato della Fiera". Il "Messager Valdôtain" del 1921 descrivendo il fervore con cui in tutti i Comuni della Valle si stiano erigendo monumenti ai caduti (dopo aver ricordato che Saint-Vincent ha avuto in quel conflitto ben 36 soldati morti), recita: "...Saint-Vincent est du nombre de ces heureux pays où l'on n'a pas manqué de penser aux morts. Ce fut d'abord le Conseil communal qui a élevé aux frais de la commune une plaque commémorative. Après cela c'est le tour des ex-combattants qui ambitionnent pour leurs frères d'armes tombés un monument plus grandiose. Les souscriptions ont déjà fructifié L. 10.000 et ce n'est qu'un début. Ce souvenir ornera la place, devant le pré de la foire, dans la partie occidentale du bourg". Lo stesso giornale due anni dopo (nel 1923) riferendosi alle manifestazioni del mese di agosto a Saint-Vincent scrive: "Inauguration solennelle du monument en l'honneur des soldats morts en guerre. Foule immense, avec intervention des villégiateurs, d'un groupe de fascistes et de six sociétés philarmoniques. La fête a été rehaussée par la présence de la Reine Mère, du Duc de Gênes, du Sous-Préfet d'Aoste, de députés et de plusieurs autres notalilités. A cette heure c'est le plus beau monument de la vallée; il coûte environ 60.00". In origine il monumento era composto da un basamento su cui erano applicate delle lastre di marmo indicanti i nomi dei combattenti caduti in guerra. Nella parte alta l'artista locale Italo Mus aveva realizzato una scultura in bronzo rappresentante un Alpino con davanti un'ampia scala in pietra su cui solitamente si posavano gli alunni delle scuole per essere fotografati. Durante il secondo conflitto bellico la scultura venne sacrificata alle necessità della Patria e purtroppo fusa. Nel 1963 la locale municipalità dispose che il necessario monumento del ricordo fosse risistemato e si scelse una Pietà in pietra rosa opera dello scultore torinese Nillo Feltrami. Nel corso dell'anno duemila per procedere ai lavori relativi al rifacimento di vie, strade, piazze e giardini di Saint-Vincent, si è dovuto rimuovere il monumento e tra lo stupore di tutti si è scoperto che all'interno del suo basamento vi era stata murata una bottiglia contenente un messaggio ai posteri. Lo scritto, su carta intestata della "Ditta Edoardo Page, Legnami, costruzioni, ardere" porta la data del 31 ottobre 1921 ed è stato presumibilmente scritto dalla maestra Maria Page (il suo nome compare nella parte alta dello scritto a sinistra. Il testo recita: "Noi, superstiti della grande guerra europea 1915-18 ai nostri gloriosi fratelli caduti innalziamo questo monumento. "Voi, futuri figli della grande Italia leggendo i nostri nomi pregate per noi e siate degni di loro. Il comitato: Presidente Camos Emanuele ex Capitano; Vice presidente geometra Page Edoardo: Tenente; Membri: De Petro Giacomo Tenente; Page Avv. Abele Tenente; Gorris Vincenzo Tenente; Thuégaz Alessandro Sergente; Marc-Grivaz Alessandro (illeggibile); Nicoletta Alfonso (illeggibile); Camos Celestino ex Caporale. Operai costruttori: Lachet Pietro ex soldato; Lachet Ernesto ex soldato; Dufour Vincenzo ex soldato; Péaquin Beniamino ex soldato; Pol Carlo ex soldato; Vuillerminaz Michele (detto il Grande); Vuillerminaz Enrico (detto...) W L'ITALIA"». Prosegue Crétier nella sua descrizione: «Tutte le persone citate sulla carta avranno nei decenni successivi importanti incarichi amministrativi, sociali o collegati alla Resistenza: Camos Emanuele sarà sindaco di questo paese negli anni 1941 e 1943. Page Edoardo legherà il suo nome alla Resistenza valdostana e al termine del conflitto farà edificare la Cappella dei Partigiani in località Amay. Gorris Vincenzo, sarà giudice conciliatore, Capo ufficio comunale di Anagrafe e Stato Civile, poeta patoisant e sarà insignito della medaglia d'argento al Valor Militare. De Petro Giacomo-Antonio sarà maestro elementare e apprezzato poeta patoisant. Nel libro di V. Gorris, "I Figli di Saint-Vincent" leggiamo: L'Ara sacra del Monumento ai Caduti in piazza Vittorio Veneto, inaugurato il 20 agosto 1922 in presenza della Maestà della Regina Margherita di Savoia, accompagnata dal Duca di Genova, è lì per provare quale duro cemento lega fraternamente e supremamente i cuori dei Figli di questa Terra. La lapide fu preparata a cura dell'Amministrazione del Comune (sindaco Crosa Luciano, il sindaco di Saint-Vincent durante tutta la guerra, decorato della medaglia di benemerenza per l'assistenza civile), era destinata ad essere murata sotto i portici del Municipio. Ma i Combattenti rivolsero il loro appello alla popolazione, e questa rispose con lodevole entusiasmo, ed allora la lapide fu incorporata colla base del Monumento». Mi fermo qui nella lunga citazione. Oggi il monumento si trova nella piazza ristrutturata e serve ai bambini per arrampicarsi. Ho cercato più volte di spiegare loro - ed alle loro mamme - che non si tratta di un'attrazione da parco giochi, usando - specie con i piccolini - le parole più adatte e semplici per dire loro che quei nomi incisi sono persone purtroppo scomparse per via della guerra. Ma poi, a ben pensarci, questo vociare allegro e giocare ad acchiapparsi è - forse - un modo vitale per dare anche ad un monumento ai caduti un uso quotidiano e non museale, ammesso di saperne qualcosa all'età giusta. Ben più grave è infatti l'oblio che avvolge, solo cento anni dopo, vicende che finiscono per essere solo un capitoletto da studiare sui libri di storia e una certa crescente ignoranza finisce - in questo come in altri casi - per favorire i rischi che certe vicende tornino, pur se con altre vesti, nella ripetitività umana dei propri errori (orrori). Lo scriveva Cicerone in "De Oratore": «Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis», vale a dire: «La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell'antichità».