Le soluzioni dei problemi in politica - come nel resto - possono essere spesso complicate e buona regola è rivelarle solo a cose fatte, perché gli "effetti annuncio" - che pure serviranno sotto il profilo del consenso - nascondono trappole, qualora gli esiti finali non risultassero quelli anticipati. Un vero campo minato, nell'interlocuzione politica, è il settore dei trasporti. Marco Ponti insegna economia dei trasporti, prima lo ha fatto a Venezia ed ora è al Politecnico di Milano. Scrive sempre articoli lucidi, utili anche per chi non sia un addetto ai lavori. Di recente ha pubblicato su lavoce.info un articolo molto sintetico e significativo sulle anomalie nel settore dei trasporti, di cui vorrei trarre alcune parti, perché lo trovo assai interessante per le ricadute che questa situazione ha anche su una piccola realtà come la nostra.
L'inizio è già la sintesi del problema: «Il monopolio è la forma di impresa dominante nei trasporti italiani. Al di là delle giustificazioni formali, a renderlo una scelta politica razionale ci sono disparati motivi. Per confutarli è necessario sviluppare strumenti di analisi molto più realistici». Personalmente il mercato non mi preoccupa, ma preoccupa semmai due aspetti: il primo è situazioni fittizie nelle liberalizzazioni in cui comandano sempre gli stessi, così come non vanno bene privatizzazioni nel nome dell'efficienza che ingrassano il privato per assenza di reali controlli. Il professor Ponti difatti mette subito il dito nella piaga, particolarmente dolorosa in Valle d'Aosta con le tariffe autostradali alle stelle: «Le autostrade sono sì "monopoli naturali", ma invece di ridurne il potere, lo si è massimizzato per via politica: concessioni molto lunghe (di recente prolungate senza gara), elevata concentrazione (un solo operatore detiene più di metà della rete)». Da notare che una politica espansiva dei monopolisti italiani in Europa rischia di accresce il peso politico già enorme a Roma anche a Bruxelles, unica speranza per contrastare situazioni di potere senza limiti. Altro caso con ricadute in Valle d'Aosta, dove la ferrovia resta ancora priva di disegni reali, cioè costruttivi e gestionali alternativi alla situazione attuali. Osserva l'autore: «L'impresa ferroviaria ("Fsi") è dominante, integrata verticalmente e orizzontalmente, con oltre il 90 per cento del fatturato e la quasi totalità della rete. Ora, la fusione con "Anas" ne aumenta ancora la capacità di pressione politica ("clout"). Il trasporto pubblico locale ("Tpl") è monopolio legale, ma mai affidato con gare credibili (quelle fatte sono state quasi tutte vinte dagli incumbents)». Per decodificare gli anglicismi: "clout" sarebbe "political clout", cioè l'influenza politica, mentre "l'incumbent" è l'ex monopolista che mantiene una posizione dominante nel settore apparentemente liberalizzato. La scelta di fondere "Anas" (che anche in Valle ha una politica di investimenti ormai per nulla controllata dalla politica locale) con "Ferrovie" avrà ragione di tipo finanziario per alleggerire il bilancio dello Stato, ma si tratta appunto di un rafforzamento reciproco di monopolisti pubblici. Altra questione, che ci tocca più come cittadini viaggiatori, segnalata da Ponti: «Il settore aereo è stato liberalizzato dall'Europa, con rilevanti benefici per gli utenti, ma lo stato italiano continua a fare sforzi economici per sostenere l'ex-monopolista "Alitalia", in una sorta di nostalgia perversa. La regolazione del settore (per definizione pro-concorrenza) fin dall'inizio è stata dotata di poteri limitati rispetto a quelli rimasti nella sfera politica. Le motivazioni formalmente addotte per questo atteggiamento sono molte, in genere intercambiabili. Qui possiamo elencarle solo sinteticamente:
- il concetto di "campione nazionale", da difendere in quanto strategico, qualsiasi sia il settore interessato;
- l'esistenza di economie di scala o di scopo, che giustificherebbero la dominanza;
- i costi tecnici e la complessità gestionale di operazioni di "spacchettamento" ("unbundling");
- la socialità: affidare servizi pubblici in gara (non solo liberalizzarli) impedirebbe di conseguire obiettivi sociali, spesso non molto definiti e spesso riferiti più ai dipendenti che agli utenti». Tecnicismi? In effetti: ma la sostanza è segnalata più avanti in modo meno difficile da capire: «Quali sono però i motivi reali, non formali, che rendono razionale questo atteggiamento politico favorevole ad assetti non concorrenziali? Data la situazione italiana, lo potremmo far coincidere con il "favore per lo status quo". Il primo, dominante, è riconducibile allo "scambio politico" diretto: i beneficiari della concorrenza sono diffusi (utenti o contribuenti), non ne godranno nell'immediato e, soprattutto, sarà per loro difficile confrontare scenari competitivi con scenari monopolistici, dati i tempi e i contesti diversi in cui li potranno verificare. I soggetti danneggiati (addetti e fornitori attuali di imprese monopolistiche), che al contrario percepirebbero immediatamente l'effetto di politiche di liberalizzazione, tendono invece a essere coesi e "vocali" e votano in favore di chi li protegge. Anche l'assunzione dei dipendenti e la scelta dei fornitori risultano politicamente condizionabili in contesti monopolistici, assai più che non in quelli concorrenziali, per i quali l'efficienza è condizione irrinunciabile. Poi per imprese monopolistiche private (per esempio, autostrade), che generano alti profitti, vi è la "spartizione delle rendite" (a danno di utenti inconsapevoli e "diffusi"). Questo avviene per via fiscale, dati gli elevati tassi di prelievo sui profitti. Tornando ai fornitori (per esempio, si pensi ai cinque miliardi l'anno circa di acquisti delle ferrovie), è ovvio che è preferibile per un privato negoziare con un monopolista invece che con un soggetto pressato dalla concorrenza e per il quale la qualità e i prezzi delle forniture sono fattori essenziali di sopravvivenza. Quanto al management di imprese pubbliche, vi sono prassi diffuse di nomine politiche dirette che garantiscono poi un sistema di "scambi di favori" con chi li ha nominati, spesso non di per sé illegali, anche se non è possibile ignorare il fenomeno corruttivo presente in Italia. Queste ultime considerazioni sono, per loro natura, facilmente spiegabili anche solo con l'obiettivo del tutto legittimo del consenso politico a breve termine (noto come "hidden agenda" in termini di "public choice")». Mi fermo qui: perché la sostanza alla fine è questa e lo si vede, sempre in materia di trasporti in Valle d'Aosta nel settore degli impianti a fune ed al ritardo in scelte di maggior accorpamenti fra società pubbliche, ma anche nell'assenza di scelte nella connessione fra trasporto su rotaia e trasporto su gomma. La logica è quella, per troppe decisioni politiche, di immaginare un'attività che si limiti ad essere una sorta di ponte fra un'elezione e l'altra, senza pensare in grande. Contano perciò - con questa visione ristretta - il breve termine e la logica del consenso e, come dimostrato da vicende del passato, si incrociano purtroppo anche evidenti rischi affaristici. Sia chiaro - lo ripeto in chiusura - che non sono mai stato fautore dei demoni dell'ultraliberismo, ma ci sono settori in cui - con sistemi reali di controllo e verifica - la concorrenza funziona.