L'altro giorno mia figlia Eugénie - si parlava di letterine di Natale - mi dice: «Ti ricordi quando alla fine di una lettera avevo chiesto da piccola la Pace nel mondo?». Era come dire, essendo ormai ventenne, di come da piccoli si scrivano delle cose che poi nella realtà sono delle speranze. Mi è venuto in mente un articoletto del 2013, che avevo messo da parte, del cardinale Carlo Maria Martini, un prete che sapeva cogliere molti aspetti della complessità del rapporto fra la religione e i problemi irrisolti del nostro mondo. Così scriveva, proprio nel solco della riflessione proposta da mia figlia: «Mi sono sempre sentito a disagio con la facilità con cui a Natale e poi a Capodanno si fanno gli auguri di beni grandiosi e risolutivi, auspicando che le feste che celebriamo portino pace, salute, giustizia, concordia. Quando diciamo queste parole sappiamo bene che per lo più non si avvereranno e passata l'euforia delle feste ci troveremo più o meno con gli stessi problemi».
«Non è questa l'intenzione della Chiesa nel celebrare la festa di Natale - proseguiva Martini - Essa intende ricordare con gratitudine il piccolo evento di Betlemme che, per chi crede, ha cambiato la storia del mondo e ci permette di guardare con fiducia anche ai momenti difficili della vita, in quanto illuminati e riscattati dal senso nuovo dato alle vicende umane dalla presenza del figlio di Dio. Ma non ci si limita al ricordo commemorativo. Si proclama la fiducia nella venuta di Colui che "tergerà ogni lacrima dai loro occhi", per cui "non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno" ("Apocalisse" 21,4) e si rinnova la speranza con la quale "noi aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia" ("Pietro" 3,13). Per questo il grido dei primi cristiani, riportato nella pagina conclusiva dell'Apocalisse, era: "Vieni, Signore Gesù!". Ma questa attesa non è passiva: essa è ispiratrice di tutti quei gesti che pongono fin da ora segnali di giustizia, di riconciliazione e di pace in questa nostra terra pur così tormentata da lacerazioni e ingiustizie. In questo senso anche lo scambio di auguri di contenuto alto può esprimere la volontà di impegnarsi e la fiducia nella forza dello spirito che guida gli sforzi umani. è ciò che auspica il messaggio del Papa per la giornata della pace che si celebrerà ancora una volta (fu istituita da Paolo VI nel 1968, in un momento di gravi difficoltà internazionali) il primo gennaio 2004». Interessante questo riferimento, che finisce per essere una specie di link: «si sottolinea in questo messaggio la particolare urgenza di "guidare gli individui e i popoli a rispettare l'ordine internazionale... La pace e il diritto internazionale sono intimamente legati fra loro: il diritto favorisce la pace" - aggiungeva il cardinale - nel diritto internazionale vengono espressi "principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati, e che tengono in conto l'unità e la comune vocazione della famiglia umana". Per questo è necessario che l'Organizzazione delle Nazioni Unite sia in grado di funzionare efficacemente. Lo diceva già Giovanni Paolo II nell'Enciclica "Sollicitudo rei socialis" (1988): "L'umanità, di fronte a una fase nuova e più difficile del suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un grado superiore di ordinamento internazionale"». Un ultimo passaggio, che riguarda una minaccia perenne fattasi ancora più terribile come veleno contro la Pace e cioè la deriva dell'estremismo islamista, che minaccia le nostre vite e che c'è da pensare spunterà come un mostro a insanguinare anche questo nostro Natale. Scriveva Martini: «Un momento particolarmente doloroso di questa fase di sviluppo è dato dalla piaga funesta del terrorismo, "che è diventata in questi anni più virulenta e ha prodotto massacri efferati, che hanno reso sempre più irti di ostacoli la via del dialogo e del negoziato, esacerbando gli animi e aggravando i problemi, particolarmente nel Medio Oriente". Tuttavia non bastano soltanto operazioni repressive e punitive. Occorre fare una coraggiosa analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici, educare al rispetto dei diritti umani che sempre più si presenta come una condizione preliminare per ogni società futura e rimuovere "le cause che stanno all'origine delle situazioni di ingiustizia, dalle quali scaturiscono sovente le spinte agli atti più disperati e sanguinosi"». Il Cardinale esprimeva così un tema delicato e cioè quali siano davvero le contromisure per fare in modo che il proselitismo islamista, che divampa come un fuoco fra i giovani islamici nelle società occidentali ed in tanti Paesi islamici del Terzo Mondo, vada fermato. E in contemporanea si trovino contromisure nei focolai di guerra che vanno dalla vicina Ucraina sino al minaccioso scontro nucleare che pesa sulla nostra testa nello scenario della Corea del Nord. E' interessante in Martini la consapevolezza che all'appello morale che le Religioni possono fare, se non vittime naturalmente dell'integralismo, si affianchi il Diritto internazionale, arma forse spuntata ma senza la quale è difficile poter risolver pazientemente i diversi puzzle che minacciano la nostra vita e rischiano di rendere la Pace un semplice esercizio retorico da buonismo natalizio.