A guardare le immagini del fuoco che risale le montagne e riscende in fondovalle c'è anzitutto la paura e poi la partecipazione umana. Un segno evidente intanto della vicinanza delle vallate piemontesi colpite da incendi distruttivi sono stati i fumi portati dal vento che hanno investito tutta la Bassa Valle d'Aosta. Ma sappiamo quanto ci sia di più nei rapporti storici di vicinato nella medesima area geografica e finanche culturale. Che siano le vallate canavesane confinanti con un continuo via vai di famiglie sino a quella Val di Susa - dove il francoprovenzale cede il passo all'occitano - con cui nella Storia si sono avuti fruttuosi interscambi. Emile Roux, padre di mia nonna materna Clémentine, classe 1881, era nato ad Oulx da una famiglia originaria della Maurienne e del Dauphiné. Segno tangibile di quel movimento fra le vallate alpine che c'è sempre stato, specie per motivi di lavoro.
Sono dei nostri amici con cui ho spesso condiviso discorsi politici - pensiamo all'amicizia con la comunità valdese, espressa nella ancora mirabile "Dichiarazione di Chivasso" del 1943 - per discussioni attorno alla Montagna, alle minoranze linguistiche e religiose, al futuro europeo nella chiave di quella cooperazione territoriale (un tempo transfrontaliera) che vuol dire «tornare a casa», quando le frontiere non erano elementi divisori, che trasformavano luoghi di dialogo e transito in periferie di Stati Nazionali. Ho sempre trovato, laddove l'Autonomia speciale non è stata portatrice di un certo addormentamento delle coscienze, una grande vitalità nell'attaccarsi alle radici, cercando di metterle nella modernità, ma a fronte di difficili rapporti con la Pianura e con un potere politico "torinocentrico". Questa storia degli incendi - ammesso e non ancora dimostrato che qualcuno li abbia scientemente innescati - finisce per essere dimostrazione palese di questa frattura, non foss'altro che mi pare che i soccorsi - cioè anzitutto lo spegnimento dei roghi - sia stato preso sottogamba sin dall'inizio, non essendo coscienti che la rinaturalizzazione dei boschi abbandonati per via dello spopolamento, sommati all'incredibile siccità che ha reso tutto secco, poteva portare a questi incendi diffusi e distruttori. Chi parla da anni, seriamente e non per fare passerelle, dei problemi dell'abbandono delle montagne sapeva bene che, nel catalogo dei rischi, esisteva anche questo, per cui ci si chiede quali piani di intervento ci fossero per avere avuto una reazione così molle, anche se nessuno sottostima il vento che ha aiutato gli incendi a diffondersi. Leggo di "Canadair" che arrivano dalla Croazia e resto stranito: un piccolo Paese balcanico deve sostituirsi all'Italia ed ai viciniori Paesi europei? Davvero? Ciò detto speriamo che l'occasione serva per una riflessione ulteriore. Non è servito il terremoto in Appennino per avere un modello nuovo di sviluppo di quelle zone, che stentano a ripartire per i ritardi terribili dello Stato, ora auguriamoci che sulle ceneri delle vallate piemontesi bruciate dagli incendi si avvii una qualche riflessione aperta a tutti e non solo ai professionisti o presunti tali del mondo della montagna. Gli stessi che dipingono scenari meravigliosi sul futuro dei montanari ad esempio con la leggina dei piccoli comuni, che basta leggere per capire che nessuna inversione di tendenza potrà arrivare da una legge di intenti, valida per tutti. Ma oggi conta l'effetto annuncio più che la sostanza. Un metodo di lavoro in politica che proprio ai montanari - se scoperto - piacerebbe poco, visto che si tratta di gente operosa che antepone i fatti alle parole, che sono fumo che sale in cielo senza utilità, proprio come quello dei boschi colpiti dai terribili incendi di questi giorni.