Da quando faccio il giornalista - e in realtà non ho mai smesso di farlo neppure quando la politica era la mia vita quotidiana - mi sono arrovellato su due temi. Il primo - fuori tema... rispetto a quanto dirò dopo - è la convinzione che questo lavoro sarebbe di una noia mortale se nelle redazioni ci si limitasse a copiare i comunicati stampa o si fosse esclusivamente debitori di quanto scritto dalle altre redazioni, quelle delle "agenzie di stampa", oggi ampliate ai diversi e veloci strumenti del Web. Trovo che invece la gioia del giornalista è scovare le notizie, scavarci dentro e riuscire, nel limite del possibile, a raccontarle in modo efficace e comprensibile. Ricordo quando nei GR (giornali radio) nazionali mi davano quaranta secondi e mi sembrava un battito di ciglia, ma se sfrondi e vai al sodo quello basta e avanza. Oggi ci sono troppi colleghi che non cercano e ritengono la sintesi - e la notizia distinta dal commento - come un optional.
Ma il secondo punto è il tema di oggi: un giornalista, come fanno alcuni, deve solo scavare nelle cose cattive, nelle brutture, nelle inefficienze o esiste anche uno spazio per le buone notizie? Davvero una "buona notizia" non è una "notizia", come dimostra il crescente assillo per la cronaca nera più feroce e sanguinolenta? Per questo ieri mi sono precipitato a leggere il nuovo inserto del "Corriere della Sera" intitolato "Buonenotizie": una sfida settimanale contro il prevalere delle cattive notizie, che rendono difficile - se non con lunghe spiegazioni - poter far vedere un telegiornale ad un bambino in assenza di lunghe spiegazioni. Per fortuna il mondo non è solo nero e cupo, ma ci sono anche colori, che però finiscono per essere messi in coda nei pezzi, appunto, "di colore" e, come tali, automaticamente in secondo piano. Le ragioni della scelta del quotidiano milanese sono state affidate alla penne sagace di Massimo Gramellini, che per il "Corriere" ha tradito i lettori de "La Stampa" e non è stata una buona notizia... Scrive Gramellini: «Ho ricevuto la lettera di un ragazzo che si lamentava per l'agenda quotidiana dei media: disastri, schifezze, storie di malessere e di scarsità. E concludeva: "Ma quando lei alla mia età sognava di diventare scrittore, avrebbe preferito leggere un'inchiesta sulla crisi dell'editoria o la storia di uno che ce l'aveva fatta?". Naturalmente ci vogliono entrambe. Ma è vero, c'è stato un tempo in cui le buone notizie non facevano mai notizia. Forse ce n'erano troppe in giro e mancava loro il requisito primario di qualsiasi notizia: l'eccezionalità. O forse quelle brutte sono sempre state più comode da scrivere e più confortevoli da leggere: paragonandosi ai cattivi ci si sente più buoni. Senza contare che la morale prevalente considerava disdicevole mettere in piazza gli slanci positivi. Quasi che il bene, come la ricchezza e la bellezza, fosse un'esagerazione di cui vergognarsi. La crisi economica ha cambiato le regole. Il racconto del bene ha perso un po' del suo sapore dolciastro per acquisire una funzione di conforto e di stimolo. Se un meccanico lascia in eredità l'officina ai suoi dipendenti o un gruppo di giovani medici decide di trascorrere le vacanze in un ospedale da campo africano (due storie estive tra le tante), significa che si può ancora continuare a sperare. Il bene e il male si fronteggiano di continuo, spesso anche dentro la stessa persona. Ma, come mi disse una volta Andrea Bocelli, se la razza umana non si è ancora estinta è perché ogni giorno nel mondo il numero delle azioni positive supera quello delle azioni negative. Magari di poco, ma lo supera. Dai media esce invece il quadro distorto di un'umanità che pensa soltanto alla sopraffazione e al potere. Anche sui social abbondano il cinismo e l'invidia travestita da indignazione. Un inserto come "Buone notizie" non è solo un'ottima notizia. E' la fine degli alibi. D'ora in poi nessuno potrà più dire: dateci storie positive. Eccole qui, ogni martedì. E non si tratterà di predicozzi astratti (come il mio...) ma di veri e propri racconti del bene. Il bene non teorizza. Il bene fa. La sua forza sta nei gesti. E il linguaggio dei gesti, a differenza di quello delle parole, non si ferma allo stomaco o alla testa. Trova sempre la strada per arrivare al cuore». L'inserto è ricco, in effetti, di storie e di personaggi: io stesso, nel piccolo di alcune trasmissioni radiofoniche, privilegio questo filone non per buonismo, ma per reazione ad un mondo che sembra solo vittima di misfatti e mai di fatti. Non vorrei tuttavia che un giornale nel giornale a cadenza settimanale finisse per essere uno "specchietto per le allodole" per sgravarsi la coscienza da una necessità e cioè che ogni giorno, nella normale foliazione del giornale, ci dovrebbe essere qualche antidoto contro il prevalere del male. Non per partito preso o per addolcire la pillola, ma perché le buone notizie ci sono e non sono buone solo per il martedì - quando uscirà il settimanale, meritevole comunque sia per la scelta controcorrente - ma sarebbero da piazzare in bella posta sul quotidiano ogni santo giorno.