Più volte ho raccontato del cartografo genovese di origine monegliese Nicolò Caveri, autore di un "planisfero" databile nel 1504. Questa carta geografica è importante perché riporta in mappa alcune delle scoperte frutto delle navigazioni di Cristoforo Colombo. In un suo intervento del 1947 all'"Accademia dei Lincei", il professor Paolo Revelli racconta della probabile amicizia tra il cartografo ed il suo concittadino Cristoforo Colombo (le famiglie possedevano dei terreni confinanti in una zona di campagna), visto che la carta tiene conto proprio delle scoperte colombiane e della necessità, per così dire, di presentarle e di esaltare il ruolo di avventuroso scopritore di nuove terre dell'indubbiamente grande e pure assai discusso navigatore genovese.
Ho letto da allora parecchio su Colombo e certo emerge una personalità discutibile dai comportamenti violenti e crudeli nel rapporto con gli indigeni delle terre conquistate e fu proprio lui ad avviare la prima forma di tratta degli schiavi. Insomma: ben diverso dall'immagine iconografica esaltante che la scuola imponeva ai miei tempi. Da anni, perciò, c'è chi combatte la figura di Colombo e se la piglia negli Stati Uniti con il "Columbus Day", la festa celebrata il secondo lunedì del mese di ottobre proprio per festeggiare Cristoforo Colombo e la sua scoperta del Nuovo Mondo, che avvenne ai Caraibi. Un'occasione di autocelebrazione per gli italo-americani che usano la scoperta di Colombo, ma anche per parte della comunità ispanica che rivendica un infondato Colombo spagnolo e non genovese (chiamare "italiano" un uomo come lui a cavallo fra Quattrocento e Cinquecento fa sorridere). La prima celebrazione di questa festa negli Stati Uniti risale al 12 ottobre 1792, quando la "Compagnia di St. Tammany" (più nota come "Columbian Order") organizzò una serie di festeggiamenti per commemorare il trecentesimo anniversario della scoperta dell'America. La stessa festa venne ripetuta un secolo più tardi, il 12 ottobre 1892 sotto il presidente Ben Harrison. New York fu la prima città, nel 1909 a dichiarare il 12 ottobre festa ufficiale di Cristoforo Colombo, seguendo le indicazioni date dai "Cavalieri di Colombo", una storica e famosa organizzazione cattolica di beneficenza. A livello federale, invece, bisogna attendere il 1937 ed il Governo del Presidente Franklin D. Roosevelt per vedere ufficializzata la data del "Columbus Day". Infine, nel 1971, il Presidente Richard Nixon dichiarò il "Columbus Day" festa nazionale, da celebrarsi il secondo lunedì del mese di ottobre di ogni anno con parate, festeggiamenti e spettacoli di ogni genere. Ma da anni c'è chi vuole abolirla e lo ha fatto Los Angeles giorni fa, raggiungendo quanto già stabilito da altre città americane ed esiste anche chi ha strutturato ideologicamente questa lotta alla festa colombiana. Perché gli Stati Uniti celebrano il "Columbus Day" invece del "Genocide Day"? Questa la provocazione lanciata e accolta (da una festa allegra alla rievocazione del genocidio...) dallo storico Bill Bigelow nel suo saggio "Once upon a Genocide: Christopher Columbus in children's literature". Secondo Bigelow, il mito di Colombo «impedisce ai bambini di sviluppare attitudini democratiche, multiculturali e anti-razziste. Nei libri di scuola per bambini, il viaggio di Colombo verso il Nuovo Mondo è descritto come una grande avventura, un'impresa coraggiosa compiuta da uno dei migliori esploratori di tutti i tempi. Eppure, dietro a questo ritratto, si nasconde una cruda realtà. Colombo considerava l'America come una sorta di bene immobiliare e non gli importava nulla delle persone che vivevano lì prima del suo arrivo. Quando Colombo aveva bisogno di traduttori, li rapiva. Quando i suoi uomini volevano le donne, le rendeva schiave sessuali. Quando gli indigeni provavano a resistere, Colombo li torturava». Così in questo crescendo di ostilità politica e di riscrittura della Storia sono finite nel mirino le statue di Colombo in tutti gli Stati Uniti, perché considerate simboli razzisti, alla stregua di quelle degli "eroi sudisti", che diverse città hanno cominciato a eliminare di questi tempi, specie quelle dei generali confederati (sudisti e schiavisti) della Guerra di Secessione. Vediamo qualche esempio: a Baltimora, in Maryland, una statua di Colombo eretta nel 1792 è stata distrutta a martellate; a Detroit, in Michigan, i manifestanti contro il suprematismo bianco hanno avvolto il monumento del 1910 all'esploratore in un drappo nero che chiede «Reclamiamo la nostra storia», ad Houston, in Texas, una statua donata alla città dalla comunità italoamericana nel 1992, nel cinquecentenario della scoperta delle Americhe, è stata imbrattata di vernice rosso sangue, a Lancaster, in Pennsylvania, a Columbus, in Ohio e a San José, in California - dove già nel 2001 un uomo provò a distruggere con un martello il monumento all'esploratore eretto in municipio - statue di Colombo sono "sotto accusa". Pure a Manhattan, a New York, è a rischio la statua che si trova a "Columbus Circle" dopo che il sindaco Bill De Blasio ha annunciato una revisione di tutti i monumenti e dunque ciò vale per altre statue in città. A Yonkers, a nord di New York, un busto in bronzo del navigatore è già stato decapitato in un parco, mentre nel Queens una statua di Cristoforo Colombo è stata vandalizzata con graffiti: «Non onorare il genocidio. Abbattila», è la scritta comparsa sul piedistallo. Dubito seriamente che operazioni come queste abbiano senso: semmai si tratta - contro gli eccessi retorici e mitizzazione di un uomo con evidenti lati oscuri - di ricentrare nei programmi scolastici la figura di Cristoforo Colombo con il necessario equilibrio, ma senza farne un mostro su cui caricare tutti i misfatti. Sarebbe un'operazione revisionistica antistorica. Il "politicamente corretto" sfocia spesso nel grottesco: nessuno nega che ricordare i nativi e gli orrori dei "conquistadores" a vario titolo sia un bene, ma farlo cancellando Colombo è ridicolo. Barack Obama nel 2015, quando già soffiava il vento anticolombiano osservò acutamente: «L'avventura di Colombo riflette la sete insaziabile di esplorazione che continua a guidare noi come popolo».