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05 set 2017

La guerra fredda 2.0

di Luciano Caveri

Uno dei doveri di questi tempi, anche per chi segua la politica locale, con i suoi fasti e le sue miserie, è cercare di guardare al di là delle proprie montagne: certamente a Roma, perimetro nazionale che deriva dalle nostre vicende storiche e che ha fruttato l'Autonomia speciale attuale con tanti limiti rispetto alle speranze del 1945, poi all'Unione europea, che è l'altro orizzonte fatto di speranze e di disillusioni, cui sfuggire sarebbe inutile e pure maldestro. Ma naturalmente lo scenario mondiale non può niente affatto essere ignorato, perché non è che il vagoncino della Valle d'Aosta viaggi sereno su di una piccola ferrovia di montagna, ma siamo attaccati al treno del resto dell'umanità e certe vicende globali, come i pericoli che prima o poi rispunti una Terza Guerra Mondiale, sarebbe bene tenerli a mente e seguire gli eventi.

Per altro ad avvelenare già i nostri giorni, diventando un rovello ogni volta che ci si muove, è quella guerra strisciante, sempre più planetaria, che deriva dal terrorismo islamista e chissà quanto tempo ci vorrà per estirpare questo male. Ma nella graduatoria delle mie preoccupazioni - cercando di leggere quanto mi capita sotto mano - è questa minaccia nucleare derivante dalla Corea del Nord, fatta di lancio di missili sempre più fitto con tecnologie nucleari che avanzano a passo da gigante, con minacce evidenti e da non sottostimare, come forse è stato già fatto. La Corea del Nord - per capirci - è grande più o meno come il Nord Italia, che ha però almeno tre milioni di abitanti in più (noi ventisette milioni, loro ventiquattro). Quindi un piccolo Stato, poverissimo in termini economici, che vive ormai assuefatto ad un regime dittatoriale di stampo comunista: si è partiti da Kim II-sung, che governò dopo la Seconda Guerra Mondiale e a cui seguì Kim Jong-il, il padre dell'attuale leader. Kim Jong-un ascese al trono - in un logica dinastica vera e propria - dal 2011. Il grande giurista Pietro Calamandrei, all'indomani della carneficina della Seconda Guerra Mondiale osservava: «Chi è che semina le guerre? Se tra uno o tra dieci anni una nuova guerra mondiale scoppierà, dove troveremo il responsabile? Nell'ultima guerra la identificazione parve facile: bastò il gesto di due folli che avevano in mano le leve dell'ordigno infernale, per decretare il sacrificio dei popoli innocenti. Ma oggi quelle dittature sono cadute: oggi le sorti della guerra e della pace sono rimesse al popolo. Questo vuol dire, infatti, democrazia: rendere ogni cittadino, anche il più umile, corresponsabile della guerra e della pace del mondo: toglier di mano queste fatali leve ai dittatori paranoici che mandano gli umili a morire, e lasciare agli umili, a coloro ai quali nelle guerre era riservato finora l'ufficio di morire, la scelta tra la morte e la vita. Ma ecco, si vede con terrore che, anche cadute le dittature, nuove guerre si preparano, nuove armi si affilano, nuovi schieramenti si formano. Chi è il responsabile di questi preparativi? Si dice che gli uomini, che oggi sono al potere, sono stati scelti dal voto degli elettori: si deve dunque concludere che le anonime folle degli elettori sono anch'esse per le nuove carneficine?». Era una visione in parte realista e in parte persino ottimista: i dittatori nel dopoguerra non son spariti e ce ne sono stati di feroci. L'elenco può essere non esaustivo e chiedo già scusa a chi non sarà d'accordo o vorrà integrarlo con qualche mancante: da Iosif Stalin a Fidel Castro, da François Duvalier a Nicolae Ceausescu, da Jean-Bedel Bokassa ad Idi Amin, da Augusto Pinochet a Pol Pot, da Saddam Hussein a Aleksandr Lukašenko. Ma l'arma nucleare è, purtroppo e in questo in cui scrivo altra cosa, specie se il suo utilizzo si pone in una parte del mondo molto delicata per le possibili conseguenze. Nel senso che - pensando anche alla discutibile personalità di Donald Trump, eletto però democraticamente, anche se può non piacere - qualora il bizzarro e crudele dittatore nordcoreano lanciasse davvero un missile con arma atomica incorporata sull'americana isola di Guam è ovvio che - dovunque sia - il Presidente americano adopererebbe la famosa valigetta con cui può dare il via alla risposta all'attacco nucleare e da lì in poi cosa potrebbe capitare è tristemente prevedibile. La storia contemporanea ci racconta di come, specie tra Stati Uniti e Unione Sovietica, quindi in piena guerra fredda, ci siano stati momenti in cui solo per un soffio la guerra non è scattata e non ci si può certo affidare a quell'equilibrio del terrore che ha sempre evitato una prima mossa. Quando appunto uno degli interlocutori, in questo caso Kim Jong-un, è evidentemente una persona alterata e senza freni, che si spinge non solo al limite estremo, ma forse è pronto a superare la soglia. Solo quando cadrà nella polvere l'insieme terrificante dei suoi misfatti sarà chiaro: certo che oggi questa sua escalation va fermata con scelte consapevoli della comunità internazionale, altrimenti prima o poi il pulsante della bomba questo individuo lo schiaccia davvero in questa nuova versione "2.0" eccentrica ma pericolosissima della "guerra fredda".